Tremila famiglie e 11 milioni bloccati dal Patto di stabilità. La Regione alza le braccia, stop, si arrende. «Le borse di studio, a questo punto, pagatele voi» sbotta Palazzo Balbi, dopo che negli ultimi mesi ogni tentativo di saldare il debito nei confronti degli studenti meritevoli dell’assegno (dio solo sa quanto prezioso, di questi tempi) si è rivelato del tutto inutile.
Il destinatario dell’invocazione, o forse sarebbe meglio dire della minaccia, è lo Stato, protagonista con la Regione, le Università, gli Esu e i Comuni di una vicenda assurda e paradossale, in cui il diritto allo studio dei ragazzi finisce soffocato tra le grinfie della burocrazia e i lacci del Patto di stabilità.
I ritardi nei pagamenti non colpiscono solo le imprese. Gli studenti universitari del Veneto, infatti, stanno ancora aspettando di vedersi riconosciute le borse di studio conquistate sui libri nell’anno accademico 2012-2013, liquidate soltanto al 67%. Stiamo parlando della bellezza di 11 milioni di euro, attesi da all’incirca 3 mila famiglie. I ragazzi, a metà del mese scorso, sono andati a protestare fin in consiglio regionale, issando sulla sponda del Canal Grande che fronteggia Palazzo Ferro Fini, in campo della Salute, clessidre giganti e striscioni di protesta (uno, con la scritta «non c’è più tempo», ha fatto capolino per qualche istante perfino dalla facciata del Palazzo) ma senza trovare alcuna soddisfazione. E il motivo è presto detto: quei soldi la Regione non li può erogare, nonostante li abbia in cassa dal 23 luglio scorso, perché i flussi in uscita sono congelati dal Patto di stabilità. «Una vicenda allucinante – ammette lo stesso assessore all’Istruzione Elena Donazzan – alla quale però non c’è modo di porre rimedio, come ho spiegato ai ragazzi che ho incontrato in Consiglio e a quelli con cui mi sono confrontata su Facebook. Abbiamo dei limiti che ci costringono a darci delle priorità nelle erogazioni e, per quel che mi riguarda, ho preferito privilegiare la cassa integrazione. Mi spiace per gli studenti ma dovevo scegliere e ho scelto: per loro la borsa di studio è un aiuto, per quanto importante; per molte famiglie la cassa integrazione è l’unico sostegno su cui si può contare in casa». Beninteso: gli 11 milioni non vengono spesi altrove. Semplicemente stanno lì, fermi, dove non servono a nulla. Senza che nessuno li tocchi.
La Regione, però, non ci sta a perdere la faccia e così la giunta, in una seduta di fine ottobre, ha deliberato di rimettere la palla nel campo dello Stato, che poi è quello che a monte mette i soldi. Che senso ha che Roma trasferisca i fondi a Venezia, se tanto poi Venezia non li può girare alle Università, agli Esu e ai Comuni che a loro volta li danno poi ai ragazzi? La delibera, pubblicata ieri sul Bur, ripercorre passo passo questa storia di ordinaria burocrazia, dando conto dei principi costituzionali che tutelano il diritto allo studio, «dell’insormontabile ostacolo al pagamento» costituito dal Patto di stabilità («Per di più in un momento in cui le famiglie stanno affrontando difficoltà economiche e finanziarie senza precedenti»), dei tentativi di trovare soluzioni diverse per porre rimedio all’empasse, anche con emendamenti in parlamento e richieste pressanti al ministero dell’Istruzione, con questa chiusa lapidaria: «Purtroppo al momento nessuna di queste strade è riuscita ad ottenere il risultato necessario per raggiungere l’obiettivo». E così, leggiamo sempre dalla delibera, mentre «comprensibilmente giungono rimostranze da parte della platea degli studenti» e «numerosissime proteste da parte delle famiglie», a questo punto «pare doveroso, sia nell’interesse più generale degli studenti e delle loro famiglie, sia per la salvaguardia del ruolo e dell’immagine dell’intera Regione, effettuare un’operazione di vera svolta nei confronti dello Stato», chiedendo che d’ora in avanti sia quest’ultimo «a pagare direttamente agli enti intermedi (Università, Esu e Comuni) tutte le risorse future, per tutti i contributi per il diritto allo studio scolastico-formativo ed universitario, qualora tali risorse non vengano escluse dai limiti di cassa del Patto di stabilità interno delle Regioni».
Insomma, se la sbrigassero loro giù al ministero, perché a Palazzo Balbi son stufi di prendere schiaffoni per conto terzi.
Marco Bonet – Corriere Veneto – 20 novembre 2013