Luca Bianchi (capo dipartimento del ministero delle Politiche agricole) fa sapere che il governo sta predisponendo il dossier per difendere a Bruxelles la norma italiana che vieta l’utilizzo del latte in polvere per la preparazione dei formaggi
di Laura Cavestri. Nessun compromesso sulla qualità, investire sulle certificazioni internazionali. Scegliere pochi mercati ad alto potenziale e puntare su quelli. Presidiare il mercato e prepararsi ad un alto livello di servizio, da soli o in maniera consortile, costruendo una piattaforma distributiva in grado di rispondere ad alti livelli di servizio. Per contenere l’Italian Sounding da 60 miliardi di dollari l’anno nel mondo e centrare l’obiettivo di 50 miliardi di export agroalimentare in 3 anni dai 33 miliardi archiviati nel 2014, l’Italia deve cambiare marcia.
È quanto emerge, sin dalla prima mattina, nel corso del Terzo Forum Food&Made in Italy che si sta svolgendo a Milano, nella sede de Il Sole 24Ore. «Bisogna sviluppare – ha spiegato Lamberto Biscarini (senior partner di Boston Consulting Group) – un Made in Italy “distintivo”.Concentrarsi su pochi prodotti ma di qualità, facendo anche una scelta di portafoglio. Stabilire in quali segmenti abbiamo le economie di scala e le dimensioni per poter competere sui mercati internazionali e lì concentrarsi. Mentre le medio-piccole devono puntare su alcuni specifici su mercati verso cui sono in grado di mantenere un elevato standard di servizio».
Intanto Luca Bianchi (capo dipartimento del ministero delle Politiche agricole) ha fatto sapere che l’Italia sta predisponendo il dossier per difendere a Bruxelles la norma italiana, incompatibile con quella europea, che vieta l’utilizzo del latte in polvere per la preparazione dei formaggi. «È essenziale – ha spiegato Luigi Pio Scordamaglia, presidente di Federalimentare – tutelare l’italianità e la qualità dei nostri prodotti nella Ue, altrimenti i nodi poi vengono al pettine. Mentre sui mercati internazionali bisogna riuscire a entrare nelle catene distributive che già esistono. Non “demonizzando” l’italian sounding da decenni radicato nel Paese, ma valorizzando, in maniera positiva, la qualità, il gusto e l’originalità dei nostri prodotti».
Il Sole 24 Ore – 30 giugno 2015