Restano solo 45 giorni per la presentazione dei progetti di rilancio dell’economia. Qualcosa a Bruxelles è cambiato. La linea di credito politico aperta a favore dell’Italia durante la prima ondata del Covid non è più illimitata. La fiducia che il governo di Roma rispetti la road map che conduce agli stanziamenti previsti dal Recovery Fund inizia a vacillare. E negli ultimi giorni nella Commissione europea si inizia — in maniera del tutto informale — a fare riferimento ad un potenziale caso Italia. La preoccupazione non riguarda più la capacità del nostro Paese di rispettare i parametri del Patto di Stabilità, al momento sospeso. Ma di presentare con puntualità il Recovery Plan.
Repubblica. L’allarme è iniziato a risuonare la scorsa settimana, quando alcuni dei Paesi dell’Unione hanno depositato negli uffici della Commissione i loro Piani. L’ultimo di questi, ad esempio, è stata la Francia. La paura, dunque, è che l’esecutivo di Conte abbia ormai accumulato già un sensibile ritardo. Certo, i tempi non sono scaduti. Il limite oltre il quale si aprirà il baratro per il nostro Paese, però, non è lontano: la prima metà di gennaio. Meno di due mesi a disposizione, non più di 45 giorni se si considera la pausa natalizia.
Dopo le linee guida formulate a settembre, infatti, i passi avanti sono stati pochi. La situazione è seguita da Bruxelles con apprensione, soprattutto perché l’Italia è la prima beneficiaria dei 750 miliardi messi in preventivo dopo l’accordo di luglio al Consiglio europeo. A Roma ne sono stati riservati 127 di prestiti e 81 a fondo perduto. La Spagna, seconda classificata in questa speciale graduatoria, potrà contare su 140 miliardi. La Polonia su 63 e la Francia su 38. Eppure la macchina che doveva sfruttare una delle più grandi opportunità di rilancio e modernizzazione del Paese al momento appare imballata. I singoli dicasteri fanno a gara a intestarsi una quota di fondi anziché organizzare progetti in grado di ottenere il via libera della Commissione. E molti ministri puntano l’indice sulla scarsa collaborazione tra la struttura degli Affari europei e quella dell’Economia. Non si tratta dei rapporti tra i due ministri, Amendola e Gualtieri, ma degli apparati poco propensi a cedere quote di competenze e quindi di potere.
Il problema, però, può diventare davvero dirompente. Ed è questa l’ansia che spesso accompagna le riunioni di vertice a Bruxelles. Perché il ritardo italiano può comportare lo slittamento dei finanziamenti a nostra disposizione. Il 10 per cento di anticipo previsto per il 2021 (ossia quasi 20 miliardi) sarà effettivamente stanziato dopo il formale via libera europeo. L’esame, però, richiede qualche mese. Non sarà istantaneo. Il pericolo concreto dunque è che i soldi arrivino alla fine del 2021. Se a questo si somma l’orientamento — ormai quasi esplicitato — di non ricorrere al Mes, le conseguenze potrebbero essere disastrose. Senza fondi la possibilità di intercettare la ripresa e di facilitare il rimbalzo del Pil verrebbe di fatto vanificata. Del resto la legge di Bilancio appena presentata in Parlamento si appoggia su una gamba che in questo modo non esiste, o almeno non si è conformata. La Manovra è una fotografia dello status quo, perché la parte degli investimenti è stata delegata al Recovery Fund. Insomma, un potenziale corto circuito che può avere ripercussioni sulla politica italiana e su quella europea.
Fino all’approvazione finale del “Next Generation Fund”, che ancora non è stata formalizzata per l’opposizione dei sovranisti di Ungheria e Polonia, nessuno può escludere un colpo di coda dei cosiddetti “frugali” del nord. I quali, dinanzi ad una eventuale inefficienza italiana, potrebbero riprendere in mano il pallino del confronto. Tenendo presente che il contesto in cui adesso l’Europa si muove è diverso rispetto all’estate scorsa.
La vittoria di Biden in Usa, l’arretramento del consenso sovranista in Italia, rende il governo di Roma meno imprescindibile. Conte ha potuto contare in questi mesi sul cosiddetto “coefficiente Salvini”, ossia sulla prospettiva che il nostro Paese fosse esposto al ritorno del leader leghista. Adesso quel rischio viene considerato meno cogente.
Non è un caso che anche tra i partiti della maggioranza sia scattata una certa agitazione. Il Pd è ormai esplicito nel chiedere un cambio di passo. Nel partito di Nicola Zingaretti, poi, non hanno preso bene le bocciature del Mes sentenziate dal premier e dal ministro dell’Economia. Anzi, proprio nei confronti di Gualtieri è montata nelle ultime settimane una certa insoddisfazione da parte di alcuni esponenti Democratici. Sebbene in buona parte nasca da un episodio: una riunione svoltasi poco più di un mese fa alla Camera, nella sala del governo. Dove il titolare del Tesoro ha riunito una decina di deputati. Un incontro che ha fatto pensare alla nascita di una corrente. Ipotesi poco gradita ai big del Nazareno.
Dopo gli Stati Generali pure l’M5S non nasconde una certa irritazione. Per non parlare di Italia Viva. Critiche che spesso i tre leader di partito si confermano reciprocamente. Ormai in pochi escludono un incidente in grado di dare il via ad una nuova fase. E se l’incidente fosse il ritardo conclamato sul Recovery Fund, allora Conte si troverebbe senza rete di protezione. In quel caso l’ombra di Mario Draghi tornerebbe a stagliarsi sulla facciata di Palazzo Chigi.