Più di cento medici ospedalieri fanno causa all’Usl 1 Dolomiti per il mancato pagamento dei residui dei fondi contrattuali. Si tratta complessivamente, tra l’ex Usl 1 di Belluno e l’ex 2 di Feltre, di quasi sei milioni di euro inutilizzati dall’Usl e che i camici bianchi rivendicano. La somma è stata accumulata tra il 2007 e il 2016.
Dopo vari tentativi andati a vuoto, da parte dei sindacati dei medici e della direzione generale, per decidere come utilizzare questi residui, i professionisti hanno deciso di ricorrere ad un soggetto terzo, super partes, cioè il giudice del lavoro del tribunale di Belluno. La prima udienza della causa è prevista per i primi giorni di marzo.
A spiegare la vicenda è il rappresentante provinciale della sigla sindacale di categoria Anaao, Luca Barutta. «A presentare il ricorso sono stati 103 medici attualmente dipendenti dell’Usl 1 Dolomiti, tra Belluno e Feltre, e una quindicina di medici che nel frattempo sono già andati in pensione», spiega Barutta. Che aggiunge: «Il nostro stipendio si compone di tre fondi: quello specifico relativo alla posizione di ciascuno (dal primario al medico dirigente); quello accessorio relativo a particolari condizioni di lavoro, e quello di risultato che premia l’attività del professionista alla fine di ogni anno. Gli ultimi due fondi non sempre sono utilizzati completamente, tanto che negli anni nell’Usl 1 si sono accumulati gli avanzi raggiungendo per l’ex azienda di Belluno i 5.240.000 euro per il periodo che va dal 2007 al 2016 e mentre per Feltre si parla di 400 mila euro (dal 2014 al 2016). Questi avanzi dovrebbero finire nel fondo di risultato e utilizzati nello stesso anno in cui sono stati prodotti».
Ma il problema è che nel corso degli anni questi residui dei fondi non sono stati utilizzati dall’azienda sanitaria. Di fronte alle proteste dei camici bianchi, «l’Usl nel 2015», prosegue il referente dell’Associazione nazionale medici e dirigenti del sistema sanitario, «ha proposto di distribuirli come pagamento di prestazioni in orario aggiuntivo. E questo in base ad una norma che prevede che non possano essere date ai dipendenti pubblici delle remunerazioni accessorie se non sono state lavorate. Una proposta che abbiamo ritenuto irricevibile», sostiene Barutta, «visto che si tratta di fondi che non devono essere collegati a prestazioni aggiuntive lavorative, ma sono da considerarsi alla stregua di un premio di risultato. Per noi questi residui sono un addendo al fondo di retribuzione che non fa parte, quindi, del sistema salariale. Abbiamo cercato un’altra soluzione, che è stata bocciata dall’azienda. A questo punto», sottolinea il sindacalista, «abbiamo deciso di rivolgerci a un soggetto super partes, cioè al giudice del lavoro». Sarà quest’ultimo ora a dirimere la controversia e dire come devono essere utilizzati questi sei milioni.
I medici che hanno presentato ricorso chiedono quindi al giudice che l’Usl paghi queste somme in base agli anni di effettiva competenza. «E in base ad un breve calcolo, a una persona che dal 2007 al
2016 abbia lavorato all’ospedale, dovrebbero essere pagati in media 16 mila euro. Vorremo che la vicenda si risolvesse in via bonaria, così che anche coloro che non hanno aderito al ricorso possano usufruire delle somme loro dovute», conclude Barutta.
Il Corriere delle Alpi – 25 febbraio 2018