Medaglia d’oro agli europei e medaglia di bronzo ai mondiali. Disciplina, complicazione fiscale. Non c’è l’orgoglio di bandiera in questi risultati visto che il Fisco italiano viene collocato al terzo posto della speciale classifica stilata dell’indagine «Financial complexity index 2017» redatta da Tfm group, società multinazionale attiva nel campo della consulenza fiscale e assicurativa. Su 94 ordinamenti tributari analizzati in tutto il mondo, solo Turchia e Brasile superano il Fisco italiano in tema di complessità, il che ci assegna la non invidiabile prima posizione tra le nazioni dell’Unione Europea.
Eppure questo doveva essere l’anno delle semplificazioni fiscali e del taglio dei documenti inviati all’Agenzia delle Entrate. Invece, secondo i calcoli realizzati dai commercialisti italiani, la situazione si è ulteriormente complicata e da questa constatazione nasce la lettera di potestà inviata dal presidente Miani al direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. Basti pensare che nel 2016 sono stati inviati alle Entrate 177 milioni di documenti mentre quest’anno siamo a 130 milioni e si chiuderà, verosimilmente, a 200 milioni di documenti. Ad appesantire il processo ci hanno pensato le nuove comunicazioni trimestrali dell’Iva: al momento sono quasi 3,9 milioni in più i documenti trasmessi. Persino i codici tributari sono saliti da 300 a 350 (anche se questo non equivale a un aumento delle tasse).
Attenzione però, nessuno vuole buttare il bambino insieme all’acqua sporca: l’introduzione del Fisco online ha permesso evidenti risparmi di spesa (stimati intorno a 2 miliardi di euro) per le casse dello Stato, secondo l’Ocse si tratta del risparmio più consistente realizzato in Europa negli ultimi anni. «I risparmi di spesa per lo Stato però si sono tradotti in maggiori costi a carico dei contribuenti e dei commercialisti che li assistono — fa notare Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti — a causa del moltiplicarsi degli adempimenti fiscali di questi ultimi anni. Solo per citare i casi più clamorosi, si pensi ai nuovi obblighi di comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva e di tutte le fatture emesse e ricevute. Responsabilmente, in questi anni, la nostra categoria, ha, con tutte le difficoltà del caso, accolto la sfida della digitalizzazione contribuendo in modo decisivo allo sviluppo del Fisco telematico più avanzato del mondo. Però adesso c’è bisogno di uno scatto in avanti» per evitare che la digitalizzazione si riveli un boomerang.
Infatti se il sistema è, di fatto, diventato tra i più evoluti al mondo, l’assenza di semplificazioni rischia di renderlo addirittura il più lento e complesso. È così i risparmi per lo Stato si traducono in maggiori spese per professionisti e contribuenti. Se quest’anno, come sembra, si sfonderà il tetto dei 200 milioni di documenti, si certifica il paradosso: innovare complicando.
Il simbolo di ciò è la semplificazione fiscale più significativa degli ultimi anni, il 730 precompilato: un’innovazione di successo per i circa 30 milioni di contribuenti che ne hanno usufruito, ma solo grazie a milioni di altri soggetti costretti a inviare al Fisco montagne di comunicazioni indispensabili per predisporre i modelli 730 e Redditi.
Cosa cambiare? In una lunga lettera al direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ruffini, i commercialisti hanno indicato alcune priorità: da un razionale calendario delle scadenze fiscali, all’eliminazione dell’obbligo di stampa dei registri Iva, dal progetto di fatturazione elettronica agli indici di affidabilità fiscale, fino alla proroga automatica degli adempimenti tributari. Un’agenda di semplificazioni per perdere il primato delle complicazioni.
Isidoro Trovato – Il Corriere della Sera – 17 luglio 2017