Lo scandalo delle uova contaminate dal fipronil ha sinora coinvolto 15 paesi europei e si è allargato sino ad Hong Kong. Inizialmente il problema ha riguardato le uova esportate da Olanda e Belgio, e i prodotti trasformati che le hanno utilizzate, ma poi si è esteso ad alcuni allevamenti di galline di altri paesi ed è stato scoperto anche in Corea del Sud. Milioni di uova sono state ritirate e quasi duecento allevamenti avicoli, solo in Olanda, hanno dovuto interrompere l’attività. In Belgio, il blocco ha riguardato una cinquantina di allevamenti.
Il fipronil è considerato “moderatamente tossico” per l’uomo dall’Oms e il suo impiego è vietato negli allevamenti avicoli in Europa. Il rischio per i consumatori resta comunque molto basso: secondo l’Agenzia per la salute pubblica tedesca, un bambino con un peso di 16,5 kg potrebbe mangiare 1,7 uova, mentre un adulto di 65 kg potrebbe mangiare fino 7 uova in un solo giorno, senza superare i valori di sicurezza.
La notizia delle uova contaminate dal fipronil è diventata pubblica il 1° agosto, dopo che il Belgio, seguito dall’Olanda e dalla Germania, aveva segnalato il problema al Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (RASFF) il 20 luglio. Il Belgio, che accusa l’Olanda di non essere intervenuta tempestivamente dopo le prime segnalazioni ricevute, è a sua volta accusato di essere stato al corrente della contaminazione sin dall’inizio di giugno ma di aver taciuto per diverse settimane, perché era in corso un’indagine della magistratura belga.
In Olanda, lo scandalo è stato oggetto di un dibattito parlamentare nella commissione economia, il 24 agosto, durante il quale al ministro della Salute e vice-ministro all’Economia, Edith Schippers e Martijn van Damin, è stata addebitata la responsabilità dell’operato dell’Autorità per la sicurezza alimentare (NVWA), responsabile di non essere intervenuta tempestivamente quando fu fatta la prima segnalazione sull’utilizzo del fipronil in allevamenti di galline per combattere i pidocchi rossi. I due ministri hanno rivelato che, in realtà, i rapporti inviati alla NVWA furono due e in uno di essi si parlava di un uso potenziale su vasta scala del fipronil negli allevamenti.
Il governo olandese ha istituito un commissione d’inchiesta, presieduta dall’ex-ministro della Giustizia Winnie Sorgdrager, per far luce sulle responsabilità. Il ministro Van Dam ha dichiarato che i danni per il settore avicolo ammontano sinora a 33 milioni di euro e la cifra è destinata ad aumentare. Secondo la Federazione olandese degli agricoltori, che ha chiesto l’intervento finanziario del governo a sostegno del settore, i danni sono stimabili in 150 milioni di euro. La preoccupazione più forte è per le conseguenze che la vicenda potrà avere sulle esportazioni verso la Germania, che importa dai Paesi Bassi il 71% delle uova consumate dai tedeschi.
L’antiparassitario sotto accusa è il Dega 16, prodotto dalla società olandese di disinfestazione ChickFriend, che lo presentava come un prodotto naturale, a base di mentolo, timolo ed eucaliptolo. Secondo quanto riferisce il quotidiano francese Le Point, si tratta di una frode a livello internazionale. Infatti, sulla base delle indiscrezioni di fonte giudiziaria riportate dalla stampa belga e olandese, CickFriend si riforniva dal distributore di prodotti sanitari belga Poultry-Vision, che avrebbe acquistato il prodotto illegalmente in Romania. In Belgio, l’inchiesta riguarda 26 persone e imprese sospette, tra cui alcuni veterinari. In luglio, presso Poultry-Vision sono stati sequestrati quasi seimila litri di sostanze proibite. Secondo la stampa, si tratterebbe del fipronil.
Intanto, come hanno scritto in una lettera al parlamento olandese il ministro della Salute e il vice-ministro all’Economia, si è scoperto che la società di disinfestazione ChickFriend – di cui due dirigenti, Martin van de Braak e Mathijs IJzerman, sono stati arrestati – non ha utilizzato solo il fipronil ma anche un’altra sostanza vietata, l’amitraz, un antiparassitario usato contro le mosche, che è stato scoperto in un allevamento bovino e avicolo. L’amitraz è ritenuto “moderatamente tossico” sulla base di test condotti su animali da laboratorio.
Sulla possibile presenza dell’amitraz ci sono punti oscuri. Non è chiaro se esso si trovi aggiunto al fipronil o derivi da un altro prodotto. Il ministero dell’Agricoltura francese ha dichiarato che la presenza di amitraz nelle uova provenienti da Olanda e Belgio non è stata segnalata dal sistema di allerta rapido RASFF e che la Commissione europea non ha emesso alcuna raccomandazione in proposito. Dal suo blog legato alla rivista Process Alimentaire, Albert Amgar nota come sia “strana, veramente strana”, questa comunicazione del ministero dell’Agricoltura francese, che cerca di rimandare la patata bollente ad altri. In realtà, nota Amgar, l’avviso iniziale RASFF da parte del Belgio del 20 luglio indicava chiaramente la presenza di amitraz e fipronil, come risulta da un articolo dello stesso blog del 21 luglio. Ora, invece, la nota RASFF sulla vicenda indica solo la presenza del fipronil, e questo, osserva Amgar, è “davvero sorprendente”.
Comunque, in Francia sono iniziati i controlli anche sulla presenza dell’amitraz, che è autorizzato nei medicamenti veterinari per ruminanti e suini, ma che è vietato sul pollame e come insetticida. Il 25 agosto, come riferisce Les Echos, il ministero dell’Agricoltura francese ha fatto sapere che tracce di amitraz sono state rilevate in alcuni allevamenti francesi di galline ovaiole, senza fornire ulteriori dettagli. Il governo di Parigi ha chiesto all’Agenzia per la sicurezza sanitaria dell’alimentazione (Anses) di “valutare l’eventuale rischio sanitario che presenterebbe la presenza di questi residui nelle uova”.
La Commissione europea ha convocato una riunione di esperti per il 30 agosto, a Bruxelles.
Il Fatto Alimentare ha chiesto un parere su tutta la vicenda a due esperti. Secondo Roberto Pinton, esperto tecnico economico per la distribuzione dei prodotti alimentari, “la contaminazione da fipronil mostra la vulnerabilità della produzione agro-alimentare in generale, che deve diventare molto più consapevole dei possibili rischi legati agli input. Non è proponibile uno scenario da Far West, in cui piccoli produttori debbano destinare energie e risorse per difendersi dai fuorilegge, vedendosi costretti a realizzare verifiche analitiche su ogni ingrediente e su ogni mezzo tecnico. La vigilanza compete all’autorità pubblica, che deve autorizzare i mezzi tecnici dopo opportuna istruttoria, senza accontentarsi dell’autocertificazione del produttore e senza limitarsi ad autorizzare un’etichetta, vigilando invece con verifiche periodiche sulla conformità di quanto immesso sul mercato”.
Da verifiche fatte, prosegue Pinton, risulta che “gli allevatori erano del tutto all’oscuro della non regolarità della miscela utilizzata dai disinfestatori. Gli allevamenti coinvolti sono stati quelli medi: per quelli maggiori è in genere più economico realizzare in proprio i trattamenti per la difesa, per quelli piccoli a livello rurale di un paio di centinaia di capi o meno il problema nemmeno si pone. Questi allevatori ora si trovano con uova e galline da eliminare (sono rifiuti speciali), a dover investire per il disinquinamento dei siti e per l’acquisto di una nuova mandria. Il che, a ben vedere, aggiunge tragico al tragico: bastano due ragazzotti (IJzerman e van de Braak hanno 24 e 31 anni) decisi a far soldi facili, per mettere in ginocchio un intero settore produttivo e gettare nel panico i consumatori di un continente”.
Più disincantato sul fatto che tutti gli allevatori fossero inconsapevoli del perché quel disinfettante al mentolo ed eucaliptolo fosse così efficace è Fabrizio De Stefani, direttore del servizio veterinario di igiene degli alimenti dell’Ulss 7 del Veneto, secondo il quale “ci sarebbe stato da stupirsi se, diversamente da quanto successo in una dozzina di altri paesi europei, in nessun allevamento italiano si fosse fatto uso di questa miscela così efficace nel contrastare le parassitosi degli animali”.
La scoperta dell’impiego del fipronil e della possibile associazione con l’amitraz – un antiparassitario di sintesi utilizzato comunemente per combattere anche in questo caso una parassitosi da acari, la varroa delle api – ci pone di fronte a diversi problemi, sottolinea De Stefani: “L’uso di alcune molecole, che è consentito in alcune specie animali, uomo compreso, può essere vietato per ragioni diverse, ad esempio per la specifica tossicità per una specie animale o per la ridotta capacità di metabolizzarle ed eliminarle dall’organismo. In molti casi le ragioni sono di tipo meramente commerciale, perché, ad esempio, l’industria produttrice non ha ritenuto conveniente condurre le costose sperimentazioni necessarie per ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) di un medicinale veterinario destinato ad una determinata specie animale”.
“Questo però non significa che questi farmaci non siano efficaci per la cura delle malattie delle specie animali per le quali non è previsto l’impiego. Tutt’altro, complice anche il sempre più frequente manifestarsi di fenomeni di antimicrobico resistenza, utilizzare in alcune specie animali “farmaci vergini”, dopo che quelli convenzionalmente ammessi hanno fallito, può significare in alcuni casi non dover chiudere un allevamento e sacrificare tutti gli animali perché non si è in grado di curarli adeguatamente.”
Inoltre, afferma De Stefani, “grazie alla miscelazione sotto mentite spoglie di diverse molecole in bassissime dosi, è possibile ottenere dei “cocktail” di farmaci di grande efficacia terapeutica, il cui impiego (fraudolento) è quasi impossibile da dimostrare, poiché le tracce dei trattamenti sono al di sotto della soglia di rilevabilità delle analisi di laboratorio, ammesso e non concesso che lo stesso laboratorio disponga di metodi di analisi accreditati per ricercare un numero indefinito di molecole insospettabili”.
“Ma in questo caso c’è una buona notizia”, sottolinea De Stefani: “Seppure l’eventuale presenza di residui di sostanze vietate negli alimenti deve essere contrastata con il massimo rigore, si deve considerare tuttavia che i livelli di tali residui sono talmente bassi da rappresentare un rischio solamente teorico, o comunque trascurabile, per la salute dei consumatori.”
La situazione in Italia al 25 agosto
In Italia, il Piano di ricerca del fipronil in uova, ovoprodotti e alimenti preparati con uova o derivati, è stato disposto dal ministero della Salute l’11 agosto. Secondo gli ultimi dati comunicati il 23 agosto, sono stati fatti 196 campionamenti dalle Regioni, sono stati prelevati 172 campioni in negozi e supermercati e gli uffici periferici del ministero hanno prelevato 60 campioni di partite provenienti dall’estero.
Le 124 analisi condotte dagli Istituti Zooprofilattici sui campioni di uova e derivati prelevati hanno evidenziato 8 positività (5 nelle uova, 2 in ovoprodotti e 1 relativa a prodotti di trasformazione).
Dopo il comunicato del ministero del 23 agosto, sono stati effettuati sequestri di uova in quattro esercizi commerciali di Orbetello e di Capalbio, in Toscana, e ad Atena Lucana, in provincia di Salerno.
Uova contaminate sono state trovate in un impianto di produzione di pasta fresca di Civitanova Marche. Uova contaminate sono state trovate anche in due centri di imballaggio della Campania, a Benevento e a Sant’Anastasia, annessi ad allevamenti.
La presenza di fipronil ha portato al sequestro di uova, da parte dei Nas e delle autorità sanitarie, in un allevamento in provincia di Ancona, di due in provincia di Napoli e di uno a Viterbo. Blocco della commercializzazione anche dei prodotti di alcuni allevamenti dell’Emilia-Romagna, dai quali provengono alcune partite di uova sgusciate liquide vendute in Calabria in cui sono state rinvenute tracce di fipronil.
Il 18 agosto, il ministero della Salute ha disposto il richiamo di un lotto di fettuccine Ristopronto, prodotte in uno stabilimento di Roma, da consumarsi entro il 22 agosto. L’avviso, però, è stato pubblicato sul sito del ministero solo una settimana dopo, il 25 agosto.
Il 23 agosto è stato richiamato un lotto di omelette congelate prodotte in Germania dalla Kagerer & Co, con invito a non consumare il prodotto e a riportarlo al punto vendita di acquisto.
Il Fatto alimentare – 27 agosto 2017