Decreto pronto a scattare ad agosto. Continua il braccio di ferro tra palazzo Chigi e i partiti sul ddl che abroga il finanziamento pubblico alla politica. Se il Parlamento non approverà il ddl varato dal Cdm il 5 giugno scorso entro l’estate, il governo procederà con un decreto.
Il punto, dunque, sono i tempi, ma anche le resistenze dei partiti ad autoriformarsi. Pdl in testa e anche pezzi del Pd di abrogare del tutto il finanziamento pubblico alla politica non hanno alcuna voglia.
VIA LIBERA GIÀ RINVIATO
Il ddl è in esame della I commissione della Camera dal 15 giugno, ma nonostante la procedura d’urgenza decisa in conferenza dei capigruppo il – teorico – varo del provvedimento in commissione che doveva arrivare in un mese (15 luglio) è già slittato al 26 luglio. Pino Pisicchio, capogruppo del Misto e antico conoscitore della materia, non ha dubbi: «Tra commissione e Aula non ce la si farà mai per la prima settimana di agosto, quando la Camera chiude, vedremo alla ripresa dopo l’estate». Le commissioni riprenderanno a lavorare dal 28-29 agosto, l’aula dalla prima settimana di settembre. Se entro settembre non arriva l’ok del Senato – spiegava al Messaggero il consigliere degli affari politici del premier, Sanna – «la legge non può essere attuata nei suoi adempimenti fiscali dal primo gennaio 2014». Morale: al governo non resterebbe che la strada del decreto legge, appunto.
LINEA DURA DI LETTA
Il premier, sulla riforma della politica, ci ha messo la faccia: riforme istituzionali della Costituzione, redditi on-line dei ministri, ddl sulle lobby e, appunto, basta soldi pubblici ai partiti. «Non accetteremo rinvii o stravolgimenti», continua a ripetere il premier ai suoi più fidati collaboratori. Sulla pagina Facebook del deputato lettiano di stretta osservanza Marco Meloni campeggiano, tra i punti qualificanti del governo Letta, «l’abolizione della legge sui rimborsi approvata nel 2012, l’introduzione di controlli e sanzioni sui gruppi parlamentari e regionali, l’affidamento alla libera scelta dei cittadini, con opportuni interventi sul versante fiscale». Punti chiari e non negoziabili. «Il governo – intima l’alt Meloni – ha fatto le sue proposte, in Parlamento la maggioranza può ovviamente migliorarle ma a condizione che si agisca rapidamente e si mantengano fermi questi punti essenziali». Lo svuotamento è, dunque, il timore dei lettiani, che – con Francesco Boccia – spiegano di «apprezzare» persone come Ugo Sposetti «che però sbaglia quando dice che Letta vuole uccidere i partiti», facendo capire di apprezzare molto meno quelli che tramano nell’ombra del Parlamento, approfittando di lungaggini e ingorghi.
I FRENATORI
Qui, però, ieri in parecchi, specie dal lato Pdl, hanno preso coraggio. Una colomba come Fabrizio Cicchitto, ex capogruppo del Pdl, spiega perché è contrarissimo all’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, il senatore Francesco Giro suona la tromba dei difensori dei partiti («non voterò mai questa legge liberticida») ed Elena Centemero, membro della I commissione alla Camera, esprime lo stesso concetto con altre parole: questa, accusa, è antipolitica a buon mercato. Il Movimento 5Stelle annuncia la presentazione di una mozione, a prima firma di Emanuele Cozzolino, che prevede lo stop del pagamento della I rata 2013 del finanziamento così come modificato dalla legge del 2012 (la rata scade il 31 luglio), ma i problemi maggiori, naturalmente, li ha il Pd. Tra la posizione di strenua difesa del finanziamento pubblico di un battitore libero come Ugo Sposetti e quella della sua totale abrogazione, cavallo di battaglia dai tempi delle primarie di Renzi, il partito cerca una difficile via di mezzo. E se i Radicali si appellano proprio a Renzi e a Grillo, perché sostengano il loro referendum abrogativo, Antonio Misiani, tesoriere del Pd, affida a una lunga nota il suo pensiero. «Accusano me, perfido tesoriere, di volere importare sistemi esotici e misteriosi e di voler sabotare il ddl del governo. Niente di più falso. Vogliamo solo migliorarlo in alcuni punti», spiega Misiani, che però tiene il punto: «La negazione di ogni finanziamento diretto ai partiti è demagogia».
Il Messaggero – 8 luglio 2013