Gli aumenti automatici dell’addizionale Irpef nelle Regioni in extradeficit sanitario si applicano a tutti gli scaglioni di reddito, compreso il primo che va da 0 a 15mila euro lordi all’anno. Il chiarimento arriva dal dipartimento Finanze, che nella risoluzione 5/2015 diffusa ieri chiarisce così una intricata questione interpretativa.
Tutto nasce dal decreto sul federalismo regionale, che dopo aver fissato l’aliquota di base (0,9%, poi ritoccata a 1,23% dal «salva-Italia» del Governo Monti a fine 2011) prevede che le Regioni possano aumentare le richieste fino a quota 2,33%, ma non per il primo scaglione di reddito: per questi redditi, il tetto è fissato all’1,73 per cento.
Cosa succede, però, se la Regione ha stabilito per i redditi più bassi l’aumento dello 0,5%, e poi lo Stato interviene a imporre un altro 0,3% nel tentativo di ripianare i buchi della sanità? Questo meccanismo, che in pratica oggi riguarda solo il Molise, porta l’aliquota complessiva per il primo scaglione a quota 2,03%, cioè sopra l’1,73% scritto nel provvedimento sul federalismo regionale (articolo 6 del Dlgs 68/2011). Ma è perfettamente legittimo.
A garantirlo, spiega la risoluzione ministeriale, c’è la «superiore finalità» di finanziare i piani di rientro dal deficit sanitario, indispensabili per «assicurare i livelli essenziali delle prestazioni» e quindi tutelare «il diritto fondamentale alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione». Questi principi impongono di superare la clausola di salvaguardia per le fasce più basse di reddito, come spiega la stesso decreto federalista del 2011 in base al quale «restano fermi» gli aumenti automatici dell’addizionale. Il tetto all’1,73%, quindi, riguarda solo le scelte discrezionali delle Regioni, ma il conto effettivo presentato a nche ai redditi più bassi può arrivare al 2,03 per cento.
Fonte: Il Sole 24 Ore