Il paradosso è che il governo chiederà il voto di fiducia alla Camera su una manovra da riscrivere. Una fiducia tecnica e non sui contenuti, quindi. Finalizzata a chiudere quanto prima questo che si può considerare a tutti gli effetti un passaggio a vuoto, e mandare subito il disegno di legge di Bilancio per il 2019 al Senato, dove il provvedimento subirà modifiche importanti, prima del 19 dicembre data in cui la Commissione europea potrebbe proporre la «procedura d’infrazione» che ora il governo vuole assolutamente evitare. Tanto è vero che già martedì prossimo il premier, Giuseppe Conte, dovrebbe consegnare al presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, il piano con la nuova manovra. Ieri il vicepresidente della Commissione, Günther Oettinger, ha riaffermato che l’Italia deve presentare una legge di Bilancio rispettosa delle regole Ue.
In concreto, con emendamenti che il governo presenterà al Senato, verranno innanzitutto tagliati i due fondi dedicati alle principali misure della manovra: quello da 6,7 miliardi per «quota 100», il sistema di pensionamento anticipato per chi ha 62 anni d’età e 38 di contributi, e quello da 9 miliardi per il reddito di cittadinanza, il sussidio fino a 780 euro al mese destinato ai poveri. I due fondi dovrebbero essere ridotti di 1,5-2 miliardi ciascuno, in attesa che con specifici provvedimenti siano poi disciplinate le due riforme. In conseguenza di questi tagli e di altre misure, il deficit per il prossimo anno dovrebbe scendere dal 2,4% fissato ora dal governo a un livello non superiore al 2% del Pil. Poiché la manovra sarà cambiata al Senato, dovrà tornare alla Camera per l’approvazione definitiva, entro il 31 dicembre. Un tour de force che si concluderà a colpi di voti di fiducia, come succedeva anche coi governi precedenti. E sempre che tutto fili liscio. Sono infatti molti i casi aperti, ultimo quello sul congedo di maternità che, secondo un emendamento approvato alla Camera, la donna potrebbe scegliere di utilizzare tutto dopo il parto, sempre che abbia il via libera del medico, ma che sta sollevando polemiche.
«Con l’Unione europea tratto io, vogliamo fare le riforme», assicura il premier Giuseppe Conte
Perché la manovra abbia compiuto un giro a vuoto è presto detto. Il 27 settembre il governo licenziò la nota di aggiornamento al Def preannunciando un deficit del 2,4% per i prossimi tre anni, con tanto di esultanza dal balcone di Palazzo Chigi del vicepremier Luigi Di Maio e dei ministri grillini. Da quel momento, però, è iniziata la retromarcia. Prima riducendo l’obiettivo del deficit per il 2020 (2,1%) e per il 2021 (1,8%), poi indicando una discesa più rapida del debito pubblico (fino al 126% nel 2021) grazie a privatizzazioni per un punto di Pil (18 miliardi) all’anno, infine accettando di tagliare ancora il deficit e di modificare «quota 100» e «reddito di cittadinanza» dopo che Bruxelles ha bocciato la manovra col consenso di tutti i Paesi Ue.
«Vogliamo che si rispettino le regole Ue», dice il vice-presidente della Commissio-ne Ue, Günther Oettinger
A spingere per la retromarcia anche l’andamento dello spread, pericolosamente intorno a 300 punti base in più del bund tedesco, la fine della crescita, col Prodotto interno lordo che, per la prima volta dal 2014, è diminuito dello 0,1% nel terzo trimestre dell’anno, e la crescente protesta delle imprese. Non a caso ieri anche il ministro degli Affari europei, Paolo Savona, ha parlato del «rischio recessione» e l’agenzia di rating Fitch ha tagliato le stime sul Pil per l’Italia: 1,1% nel 2019 contro l’1,5 stimato dal governo.
«L’Italia rischia la recessione, bisogna agire», ha detto il ministro degli Affari europei, Paolo Savona
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