Tagliati premi e fondi alle società, stop alle corse. Cassa integrazione per i dipendendenti, a rischio allevatori e fantini
PADOVA – Un lento, ma inesorabile declino. I venti di crisi che spirano sul mondo dell’ippica rischiano di travolgere 3000 famiglie venete, che vivono grazie agli indotti generati dalle corse e dall’allevamento dei cavalli. Dal 1 gennaio, in conseguenza del taglio del 40% del montepremi assegnato al settore dai Monopoli di stato e del drastico taglio dei finanziamenti statali alle società che gestiscono i singoli ippodromi (da 120 a 61 milioni), Le strutture di Padova e Treviso hanno sospeso l’attività. La nostra regione, anche nel comparto delle scommesse ippiche, ha conosciuto un calo progressivo ma inarrestabile nell’ordine del 20%: «I proventi generati dai proventi delle corse dei cavalli in Veneto – fanno sapere fonti di Agipronews – sono in costante calo, al punto che i tagli sono stati inevitabili. Su un totale di quattro miliardi e settecentomilioni di euro di indotto, l’ippica è fanalino di coda con appena 48 milioni. Se osserviamo, poi, i dati mese dopo mese del 2011, scopriamo che si è passati dai 5 milioni del mese di gennaio, al crollo verticale di agosto (3,3 milioni) e settembre (3,3), con una lieve ripresa che si è fermata ai 4,1 milioni di indotto di dicembre. Il decremento, come si può notare, è nell’ordine del 20%, un calo assai significativo e preoccupante». L’impressione è che la valanga difficilmente si arresterà. Le scommesse ippiche infatti sono ormai appena l’1,7 del totale, con un calo del 25% solo nell’ultimo anno anche su scala nazionale.
Giovedì quasi tutti i lavoratori degli ippodromi delle Padovanelle a Padova e di Sant’Artemio a Treviso, si sono recati in pullman a Roma per manifestare contro i recenti tagli che hanno messo in ginocchio il settore. Luca Cazzin, che da 35 anni è il caporazza del celebre allevamento Biasuzzi di Ponzano Veneto, allarga le braccia sconsolato: «Dieci di noi oggi si sono recati aRomaper aderire alla protesta – spiega -ma non sappiamo cosa potrà succedere nel prossimo futuro. I tagli sono stati tremendi e c’erano già stati anche nel passato. La questione è complessa, sono calate le presenze all’ippodromo, lo stato ha puntato tutto sulle slot machine e ha progressivamente tolto fondi al nostro settore. Il grosso problema è che i cavalli non sono come le automobili, che se non le usi le metti in garage. La catena produttiva non si può fermare, gli animali vanno nutriti e seguiti, il personale ha un costo, ci sono migliaia di famiglie nella nostra regione che vivono grazie ai cavalli. Prenda me. Faccio il caporazza della mia azienda da 35 anni, curo 65 cavalli da riproduzione, più 35 puledri, senza contare gli stalloni. Siamo divisi in due sezioni, a Ponzano alleviamo, a Mirano invece prepariamo gli esemplari da corsa. Da noi sono passati cavalli storici, basti pensare a Equinox Bi, rapito nel 2007 e rinvenuto sotto un cavalcavia della Statale 16 nei pressi di Pedaso, a poca distanza dal casello dell’A14, in provincia di Ascoli Piceno. Insomma, sinceramente non sappiamo di che morte dobbiamo morire, la situazione è drammatica sotto ogni punto di vista».
A Treviso almeno una cinquantina di cavalli sono fermi ai box e teoricamente in attesa di una nuova collocazione. Sono pochi i proprietari che fra pensione, fieno, veterinario, fantino, artiere, riescono a sborsare duemila euro al mese per cavallo. Senza farli correre. Senza scommettere sulle loro gambe e sulla loro velocità. Il calo degli introiti derivati dalle scommesse, nonché delle presenze all’ippodromo, ha colpito soprattutto le Padovanelle, il più vecchio della penisola e di proprietà della Pia Fondazione Breda. La famiglia Grassetto, che lo ha in gestione fino al 2020 non ha firmato la convenzione- ponte con l’ente statale Assi (ex Unire) insieme agli ippodromi di Treviso, Torino, Milano e Bologna. La conseguenza più immediata è che anche gli ultimi dieci dipendenti andranno in cassa integrazione a zero ore dalla prossima settimana. Senza che all’orizzonte si intraveda una soluzione al problema.
Corriere veneto – 14 gennaio 2012