In Italia non ci sono regole specifiche e si fa riferimento ai contratti nazionali. I giudici potrebbero decidere di adeguarsi alla sentenza europea e dichiarare nulle o disapplicare le clausole contrarie presenti nei Ccnl. Una pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di modalità di calcolo della retribuzione da corrispondere al dipendente nei giorni di assenza per ferie, potrebbe costringere le aziende a rifare i conti. Con la sentenza emessa il 22 maggio 2014 nella causa C-539-12, la Corte di giustizia, cui era stata richiesta una pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione dell’articolo 7 della direttiva 2003/88/Ce, ha stabilito che non sono conformi al diritto comunitario disposizioni e prassi degli Stati membri che prevedano un computo della retribuzione feriale del dipendente basata esclusivamente sullo stipendio base.
La Corte ha affermato che, nel corso del periodo di ferie, il lavoratore deve percepire una remunerazione determinata considerando tutti gli elementi che rientrano nel calcolo della retribuzione globale di fatto (compresa quindi l’incidenza di eventuali bonus e/o parte variabile), a esclusione solo di quelli diretti a coprire eventuali costi occasionali o accessori.
Le statuizioni e i principi contenuti nella sentenza da un lato sembrano potersi riferire a tutti i settori produttivi e a tutte le categorie di lavoratori. Dall’altro, sia pure rese in relazione a una direttiva (che è un atto comunitario non direttamente applicabile negli stati membri dell’Unione, salve specifiche ipotesi), tali statuizioni e principi potrebbero essere ritenuti da un giudice italiano come aventi diretta efficacia nel nostro ordinamento giuridico.
Ciò in forza di un orientamento della Cassazione oramai consolidato secondo il quale alle sentenze della Corte di giustizia va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, con efficacia erga omnes nell’ambito degli Stati membri. Sulla scorta di questo orientamento, il giudice nazionale è immediatamente tenuto a disapplicare le norme interne confliggenti con quelle comunitarie, così come interpretate dalla Corte di giustizia.
Nel nostro ordinamento, non sono ravvisabili specifiche disposizioni di legge in ordine all’individuazione delle voci retributive computabili nella retribuzione feriale. Pertanto, sino a oggi, i giudizi nazionali hanno costantemente ribadito che un singolo elemento della retribuzione può inserirsi nella base di calcolo per la retribuzione del periodo feriale soltanto se lo prevede il contratto collettivo nazionale di lavoro di volta in volta applicato (Ccnl).
E se i Ccnl di alcuni settori effettivamente prevedono che la retribuzione feriale deve essere individuata facendo riferimento alla retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore, altri contratti (anche di settori importanti) invece la identificano con la sola cosiddetta paga base, o comunque escludono dal computo, espressamente o implicitamente, specifiche voci quali premi, provvigioni, maggiorazioni per lavoro notturno.
Risulta in questo modo ancora più evidente la portata della decisione della Corte di giustizia e gli effetti che potrebbe avere nel nostro ordinamento, considerato che la stessa – nello stabilire la conformità al diritto comunitario solo di un criterio di calcolo della retribuzione feriale che faccia riferimento alla retribuzione globale di fatto, con esclusione solo degli elementi retributivi che siano diretti a coprire eventuali costi occasionali o accessori – potrebbe conseguentemente portare alcuni giudici del lavoro italiani che fossero investiti della questione a dichiarare nulle o comunque disapplicare eventuali disposizioni di alcuni Ccnl contrarie in materia, perché in contrasto con le norme comunitarie, applicando in sostituzione i criteri individuati dalla Corte.
Quanto sopra a beneficio dei lavoratori ma, ovviamente, con costi significativamente maggiori per le aziende, soprattutto se di grandi dimensioni.
Il Sole 24 Ore – 7 ottobre 2014