L’avvocato Miazzi che rappresenta l’azienda nella vertenza milionaria con i 19 dipendenti nega l’occultamento di atti e stuzzica il sindacato. Il ricorso in Appello sulla sentenza emessa dal tribunale di Belluno a favore dei 19 dipendenti sanitari non medici che rivendicano dall’Usi oltre sei milioni di euro, è in dirittura.
L’azienda capitanata da Adriano Rasi Caldogno che ha ereditato questo tormentone lungo vent’anni, non demorde, nonostante la proposta di un accordo bonario, all’insegna dell’ hard discount, che viene dal sindacato Uil per i poteri locali. E sulle accuse di aver manipolato dati e atti, mosse dallo stesso Giorgio Faccioli, risponde il legale di parte Usi, la giuslavorista del foro di Padova, Maria Luisa Miazzi. «Con le note difensive autorizzate ci siamo limitati a produrre una tabella nella quale il fondo per la dirigenza sanitaria non medica è stato ricostruito sulla base del disposto del contratto collettivo nazionale dei lavoratori del 1996», premette Miazzi. «Può essere benissimo che la somma indicata come fondo reale nella tabella non coincida con gli importi erogati ai singoli dirigenti. Ma ciò non significa nulla, se non che l’ente può avere commesso degli errori nel destinare le risorse all’indennità di risultato. La tabella ha voluto proprio correggere questi eventuali errori e nel contempo distinguere il fondo reale dal fondo teorico che rappresenta un dato solo formale ed indica risorse che mai avrebbero potuto essere destinate concretamente all’indennità di risultato». Con riferimento alla nota della Uil, fa notare l’avvocatessa, «appare ancora una volta come il sindacato ricorra a supporti esterni (l’esecutivo dei sindaci, ndr) per supportare la sua pressante richiesta di aprire un tavolo di trattativa al fine di addivenire ad una transazione. A mio avviso questa posizione del sin dacato tradisce una consapevolezza ed una preoccupazione evidenti: la prima è che Uil conosce bene la fragilità delle sue tesi e delle motivazioni della sentenza che poggia su una ricostruzione del consulente tecnico d’ufficio non corretta, priva della memoria storica necessaria per affrontare queste questioni e che era per il Ctu doveroso considerare atteso il suo ruolo. La seconda è che la sentenza del 2011 che Uil sbandiera come passata m giudicato in realtà non garantisce alcunché ai lavoratori. Anzi, pur nella sua stringatezza ribadisce concetti corretti che sono utili per l’azienda». La via di questa vicenda complessa, per l’avvocato Miazzi, è tutta da percorrere. Anche perché, sottolinea il legale senza sbilanciarsi, la pronuncia della Corte d’Appello di Venezia poggerebbe i suoi assunti su una affermazione che lascia spazio a successivi interventi e ad un riesame. La partita, dunque, non è chiusa. E come fa capire Miazzi, una sentenza molto recente della Corte d’Appello offre lo spiraglio per perseguire l’obiettivo.
Corriere delle Alpi – 20 novembre 2014