Una ripresa trainata (anche) dai farmaci. Il dato, sorprendente per le sue dimensioni, è stato presentato da Farmindustria, l’associazione che raggruppa le aziende farmaceutiche che operano in Italia. «Nel periodo 2010-2016 il settore farmaceutico ha registrato in Italia un incremento del giro d’affari del 13% a fronte di un calo medio di tutti gli altri comparti del 5%», spiega Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, reduce in questi giorni dall’assemblea annuale dell’associazione.
«L’Italia è oggi il secondo produttore di farmaci in Europa, dopo la Germania, ma il gap tra i due Paesi si sta rapidamente riducendo e l’industria nazionale è arrivata a un fatturato complessivo di 30 miliardi, che corrispondono a una quota dell’1,8% del Pil nel 2016», continua. Numeri che sorprendono, se si pensa che in Italia, a differenza di quanto avviene nei principali Paesi europei o anche nella piccola Svizzera, mancano le grandi multinazionali del farmaco. «L’industria farmaceutica italiana è composta per il 60% da società a prevalente capitale estero e per il 40% da aziende a capitale italiano. Il volano della crescita, per entrambi i gruppi di aziende, sono le esportazioni», precisa Scaccabarozzi. Il valore dell’export farmacologico italiano è effettivamente molto rilevante e raggiunte il 71% della produzione nazionale, per un valore totale di oltre 21 miliardi di euro. Il farmaceutico è poi un settore ad alta intensità di capitale e di ricerca. Basti pensare che lo sviluppo di un nuovo principio attivo richiede circa dieci anni di studi e un investimento di 2,5 miliardi e solo il 4% delle molecole potenzialmente attive arriva a trasformarsi in un farmaco finito. Si spiega così l’altissimo valore della spesa in ricerca e sviluppo che in Italia tocca gli 1,5 miliardi di euro all’anno e che pesa per il 7% sulla spesa nazionale in ricerca e sviluppo. «Del totale di circa 66 mila addetti diretti del settore, un decimo è impegnato in attività di ricerca», aggiunge Scaccabarozzi. Questi numeri hanno un impatto diretto sulla salute e sulla qualità della vita degli italiani. E un altro dato da record riguarda la riduzione della mortalità, che in dieci anni è calata in Italia del 23%.
Naturalmente in tempi di ristrettezze per i bilanci pubblici e di rallentamento della crescita economica la spesa farmaceutica è al centro delle politiche di «spending review». «Negli ultimi 10 anni tra manovre di bilancio e correttivi ai conti pubblici, ci sono stati ben 44 interventi, e quasi tutti hanno in un modo o nell’altro impattato la spesa farmaceutica, che è fissata per legge in una percentuale pari al 14,85% della spesa sanitaria nazionale», ricorda Scaccabarozzi. Ma negli ultimi anni è stato trovato un equilibrio tra le imprese produttrici e lo Stato che ha ridotto i tagli alla spesa e alle prestazioni pubbliche. Sul fronte dei risparmi di spesa giocano invece un ruolo decisivo i farmaci «generici». «In circa venti anni, in Italia la spesa per i generici è passata dall’1 al 21% del totale.
«Ormai la penetrazione del “generico” raggiunga punte comparabili, se non superiori, all’utilizzo che se ne fa nei principali Paesi europei», conclude Scaccabarozzi.
Marco Sabella – IL Coriere della sera – 5 luglio 2017