«Non chiamateci eroi». L’hanno gridato più volte, a titolo personale o con interi reparti o ospedali. Ma per noi, che li guardiamo da fuori mentre i turni si prolungano interminabili, mentre salvano le vite, mentre cercano anche di dare un conforto umano, eroi lo sono: punto e basta. A un certo punto, però, anche quel camice – trasfigurato su un muro padovano in un vero e proprio vestito da Superman – se ne va, sostituito dagli abiti di padri, madri, mariti, mogli, figli. E quando se ne va anche l’adrenalina, emerge una verità per certi versi drammatica: chi ci cura mette a rischio non solo se stesso, ma anche i propri cari.
E’ per questo che al sacrificio sul posto di lavoro se ne aggiunge un altro: quello della protezione della propria famiglia. Le soluzioni sono tante: c’è chi ha lasciato la propria casa, chi ha trasferito i figli dai nonni, perfino chi gira in salotto come in ospedale, con la mascherina sempre sul viso. «Sono in quarantena perché con un rianimatore abbiamo intubato un paziente che solo dopo si è rivelato positivo – racconta un infermiere dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre – I tamponi finora sono stati negativi e mi mancano pochi giorni, ma non volevo correre il rischio di infettare mia moglie e mio figlio di 18 anni, che già è preoccupato per la maturità». E così la prima notte dopo quell’intervento «a rischio» ha dormito in taverna, poi ha deciso di trasferirsi dalla zia, che abita a fianco e ha un miniappartamento disabitato da anni. «Non c’è il gas, sono al freddo e l’antenna non funziona – racconta – Mia moglie e mio figlio mi portano pranzo e cena lasciandomelo davanti alla finestra. E’ stata dura, ma non tornerei indietro: tanti miei colleghi mi hanno detto che avendo la possibilità avrebbero fatto lo stesso».
Un altro collega, infatti, ha dei bimbi piccoli a casa e non è stato facile spiegare loro che non possono nemmeno salutarlo. «E’ un dramma che stanno vivendo tanti medici e infermieri – ammette Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei medici di Venezia – Non poter abbracciare i propri figli non è facile, tanto meno spiegare perché». «Il 27 febbraio, quando sembrava una follia perché non si era percepita la gravità della situazione, ho deciso di andarmene di casa – racconta un medico di pronto soccorso veneziano – Io sono andata nell’abitazione di mia mamma, che ha 80 anni ed è diabetica e ipertesa, lei è da me con mio marito, che è asmatico, e i miei due figli di 5 e 12 anni: troppe situazioni a rischio». In una prima fase andava a trovarli un’oretta al giorno. «Mi lavavo bene le mani, indossavo la mascherina, stavo attenta a non entrare con i vestiti che avevo in ospedale – prosegue – Ma ora nemmeno quello: la settimana scorsa ho fatto 10 tamponi, di cui 4 positivi, e non mi fido più. Solo telefonate, anche se l’altro giorno, senza metterci d’accordo, io e mio marito ci siamo trovati al supermercato per caso: ovviamente entrambi con le mascherine sul viso». E non è difficile immaginare il dolore di una mamma lontana dai figli. «Il piccolo è molto esuberante e quando si arrabbia non è facile calmarlo – conclude – un giorno è bastata una carezza e si è placato: si vede che gli manco tanto». Una sua collega anestesista da una decina di giorni non vede le sue bambine, che non hanno ancora dieci anni. «Io e mio marito, anche lui medico, abbiamo deciso così – spiega – Sono dai nonni a San Donà, hanno un giardino, giocano e fanno i compiti. Durante il giorno le sento ogni tanto, poi la sera una videochiamata di 5 minuti. Però mi sembrano serene e soprattutto sono al sicuro». Di fronte alle lamentele sul «lockdown», però, viene fuori lo spirito di mamma. «Mi fa rabbia vedere la gente che passeggia con i figli nei parchi e magari protesta – conclude l’anestesista – penso che sia una fortuna a poter stare a casa e goderseli, mentre io chissà quando le potrò rivedere».
Sanitari, ma non solo. Anche un membro dello staff di Carlo Bramezza, direttore generale dell’Usl 4, ha scelto con la moglie di isolarsi: una settimana fa lei ha portato i due figli dai genitori e proprio nei giorni scorsi su Fb ha raccontato le difficoltà della lontananza: «Ma una mamma deve sempre dare forza ai figli».
Corveneto