di Michele Sasso da L’Espresso. Centri sportivi, ristoranti, club privati per scambisti senza scopo di lucro. Ma anche centri per la cura dei gatti, sovvenzionata dallo Stato e trasformata in un vero e proprio business. E ancora night club e finte associazioni benefiche che chiedevano offerte per la sclerosi multipla, palestre e centri ippici pronti a emettere fatture false a uso e consumo degli associati. È questa l’altra faccia, quella peggiore, delle onlus. Create dai furbetti per evadere il fisco, godere di sconti e agevolazioni o ancor peggio sottrarre sovvenzioni pubbliche che spesso a fatica il Governo cerca di mettere a disposizione della parte migliore del no profit. A danno di chi nel no profit lavora onestamente. Per capire meglio questo mondo il sociologo Giovanni Moro ha scritto un libro dal titolo eloquente e polemico Contro il non profit (Editori Laterza, 2014).
Il volume mette all’indice quel terzo settore che dietro questa parola nasconde uno spazio in cui un po’ tutto è possibile: dalle cliniche alle discoteche. Con tutto ciò che ne consegue in termini di dubbia utilità sociale, arricchimenti personali, conflitti di interesse, elusione fiscale, rapporti di lavoro insani, concorrenza sleale con le imprese private. «Senza controlli sulle attività realmente svolte – spiega Moro – succede che sotto il cappello “senza scopo di lucro” finiscano anche gli enti previdenziali dei dentisti, le università private e le fondazioni bancarie: un magma informe dove convivono realtà completamente diverse».
In questo variegato sottobosco di onlus, cooperative ed enti caritatevoli si contano oltre 300 mila istituzioni e organizzazioni, quasi un milione di lavoratori e 4 milioni e 700 mila volontari. Un italiano su dieci, infatti, dedica il proprio tempo libero ad aiutare gli anziani, guidare le ambulanze, servire i pasti alla mensa dei poveri, portare gli adolescenti in vacanza. Rimpiazzando e completando il sistema del welfare del nostro Paese, in perenne affanno.
II terzo settore fa registrare più di 80 miliardi di euro di entrate ogni anno, oltre il tre per cento del Prodotto interno lordo. Dentro questo magma dal perimetro indefinito si trovano storie di ordinaria furbizia che finiscono con il gettare ombra anche sui volontari onesti. «Se non distinguiamo tra le associazioni – conclude Moro – rischiamo di dare benefici a chi non ne ha diritto e invece negarli a chi fa attività della massima utilità sociale». La solita storia dei furbetti che campano a spese degli onesti, costretti spesso a tirare la cinghia per rimanere in piedi. Mentre c’è chi sfrutta l’alone di rispetto, simpatia e fiducia per nascondere bottini milionari e spregiudicate operazioni commerciali.
I FURBETTI? SONO OVUNQUE
La svolta dei controlli è arrivata nel 2009, dopo anni di segnalazioni di ambiguità e montagne di soldi evasi al fisco, con il censimento degli enti non commerciali e delle onlus. L’Agenzia delle Entrate ha iniziato la caccia a questa nuova categoria, molto italiana, di “furbetti del non-profit”. A tutte le organizzazioni sono stati inviati 250mila modelli da compilare per spiegare se l’attività commerciale è solo marginale – e funzionale agli scopi associativi dell’ente – o è prevalente.
Nell’anno successivo sono partite le verifiche sul campo. Risultato? Migliaia di controlli e la triste conferma che dall’evasione nessuno è esentato: oltre 230 milioni di euro di proventi non dichiarati. Da allora incrociando i database si scoprono ogni mese piccole e grandi furbizie.
IL MERCATO DEL SESSO
Nel Lazio c’è un vero e proprio mercato del sesso con la copertura delle onlus. Come se aprire un locale per scambisti affiliandosi a due federazioni, la Federsex e la Fenalc, non generasse introiti e permettesse di «difendere e tutelare i diritti e le libertà dei diversi orientamenti sessuali, senza discriminazione, distinzione di sesso e ceto sociale».
A Salerno sulla carta risultavano associazioni che nella realtà erano veri e propri centri sportivi, ristoranti e club che producevano reddito ma usufruivano delle agevolazioni previste. Due milioni di euro evasi per chi doveva promuovere «il territorio e le sue tipicità enogastronomiche» con banchetti, corsi di fitness e gite per pochi eletti. Ma non è tutto: la gran parte di loro erano evasori totali, completamente sconosciuti al fisco.
UN PAESE CHE GIOCA SPORCO
Tra le realtà più sospette ci sono i centri sportivi e le palestre: una, a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, si è data alle false fatturazioni, truffando oltre un milione di euro. A Teramo un imprenditore ha creato una holding tra onlus che apparentemente facevano attività sportiva dilettantistica: i 5000 iscritti, però, non venivano mai avvisati delle assemblee annuali.
Contro l’abusivismo nel settore sportivo anche il Coni è corso ai ripari con un censimento delle oltre 60mila associazioni presenti in Italia, imponendo ferrei controlli ai propri affiliati. Così è emerso che in Lombardia, grazie ai cavalli, si nascondeva il bottino: venti associazioni ippiche dilettantistiche avevano accumulato un tesoretto di quasi tre milione di euro mai dichiarato. Scatole vuote con la totale assenza di vita associativa, zero rendicontazione delle entrate e delle uscite e soldi usati come propri dai gestori.
A finire sotto accusa anche il simbolo del potere della Roma che conta: il Tennis Club Parioli. «Quel circolo non paga l’Imu perché riconosciuto come ente del terzo settore – sostiene Moro – eppure non ha una grande connessione con i temi sociali di interesse generale. Addirittura quando proviamo a varcare l’ingresso del circolo rischiamo di essere cacciati perché non siamo soci».
Insomma, casi clamorosi. Come quello di un agriturismo con pista per l’atterraggio degli elicotteri che a tutto faceva pensare tranne che al volontariato.
Gli “ap-profit” usano ogni mezzo. A Perugia chiedevano offerte per la ricerca contro la sclerosi multipla piazzandosi davanti l’ingresso dell’ospedale. Ma invece delle carrozzine un gruppo criminale pensava ad una maxi truffa partita da Roma e ramificata in tutta Italia. Per metterla in piedi si raggiravano i potenziali donatori creando ad hoc false associazioni benefiche. La Finanza ha scoperto un’organizzazione che, per chiedere soldi sfruttava più di mille ragazzi: in mano gli mettevano il materiale informativo e false ricevute. Per loro un’unica indicazione: «Versate subito il denaro su questi conti correnti». Puntualmente prosciugati nel giro di un’ora.
IN LIGURIA LE ONLUS FANTASMA
In Liguria sono state scoperte associazioni che dietro lo schermo del volontariato macinavano utili. Ma spesso non avevano una sede oppure si limitavano a un indirizzo di facciata. Tuttavia, grazie all’iscrizione nei registri del terzo settore beneficiavano di agevolazioni come la non imponibilità dei proventi e l’esenzione dell’imposta di bollo sugli atti. Per correre ai ripari la sforbiciata è arrivata dalla Regione. Dopo mesi di controlli sono stati cancellate dai registri ben 170 associazioni, tra le quali la storica Società nazionale di salvamento sezione di Nervi, che, come ha confermato il Tar, svolge di fatto attività «commerciale, nel settore dell’organizzazione e della gestione dei corsi di formazione professionale».
I casi sono tantissimi. «Un altro esempio? Quello di un’associazione genovese che ufficialmente si occupava di animali a titolo di volontariato — spiega Luca Cosso, presidente del Centro servizi al volontariato di Genova, che ha coadiuvato la Regione nel lavoro di revisione — in realtà prestava attività veterinaria a pagamento. Ora, va bene che i prezzi delle visite potevano essere modesti. Ma comunque era qualcosa di diverso dall’assistenza volontaria ai gatti randagi».
E poi ancora associazioni culturali che vendevano vino e altre diventate sale da ballo. Mentre si chiede a quelle ‘sane’ di partecipare con gli enti pubblici al welfare ristretto dalla spending review.
«Ci sono state resistenze — commenta l’assessore ligure alle politiche sociali Lorena Rambaudi — ma l’intento è quello di valorizzare il Terzo Settore, e situazioni ambigue non sono accettabili. Se offri corsi dietro pagamento di quote di iscrizione, come la società di salvamento di Nervi, quello non è volontariato».
L’Espresso – 23 aprile 2014