Ma qual è l’”origine del fallimento”? Per Gerald Keusch, direttore associato del National Emerging Infectious Diseases Laboratory Institute della Boston University nel Massachusetts, è di tutti: «L’indagine sulle origini è stata mal gestita dalla comunità globale, dalla Cina e anche dall’Oms, che avrebbe dovuto essere inflessibile nel creare un rapporto di lavoro positivo con le autorità cinesi e più trasparente nel caso fosse stato ostacolato». Ma ricostruiamo le tappe che hanno determinato questa debacle.
Nella fase uno dell’indagine, partita a gennaio 2021, un team internazionale di esperti convocato dall’Oms si è recato a Wuhan e insieme ai ricercatori cinesi ha esaminato le prove su quando e come il virus potrebbe essere emerso. Nel rapporto pubblicato a marzo dello stesso anno, il team ha delineando 4 possibili scenari, il più probabile dei quali è che Sars-CoV-2 si sia diffuso dai pipistrelli alle persone, forse attraverso una specie intermedia. Da qui, sarebbe poi partita la seconda fase di studi per definire esattamente cosa sia successo in Cina e nel resto del mondo. Peccato, però, che sempre nello stesso rapporto il team abbia anche concluso come fosse «estremamente improbabile» che il virus sia sfuggito accidentalmente da un laboratorio. Il solo fatto di avere considerato l’incidente tra le ipotesi è stato il fattore che ha incrinato i rapporti con i ricercatori e i funzionari cinesi. L’ipotesi che il virus potesse essere “sfuggito” dal Wuhan Institute of Virology, il laboratorio di alta sicurezza che lavora sui coronavirus, era stata infatti lanciata nel 2020 dall’amministrazione americana dell’ex presidente Donald Trump, innescando fin da subito una tensione che non ha agevolato gli sforzi messi in campo dalla scienza. In particolare, le misure proposte dall’Oms nella circolare inviata agli Stati membri riguardavano valutazione dei mercati di animali selvatici a Wuhan e dintorni, degli allevamenti che rifornivano quei mercati, nonché ispezioni dei laboratori nell’area in cui sono stati identificati i primi casi. Ma i funzionari cinesi hanno respinto queste proposte, ponendo particolare accento sulle violazioni dei laboratori. Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha detto che la proposta dell’Oms non era stata concordata da tutti gli Stati membri e che la seconda fase non avrebbe dovuto concentrarsi su “percorsi” che il rapporto precedente aveva già ritenuto estremamente improbabili, ovvero nel laboratorio di massima sicurezza.
Al di là del processo formale guidato dall’Oms, alcuni studi, proposti per la fase due, sono comunque andati avanti. Nel maggio dello scorso anno, i ricercatori di Pechino e Wuhan hanno pubblicato i risultati di un’indagine sull’analisi del sangue di donatori raccolti al Wuhan Blood Center prima del dicembre 2019. Lo scopo della ricerca era quella di individuare se ci fossero già anticorpi contro Sars-CoV-2. Il team ha esaminato più di 88.000 campioni di plasma raccolti tra l’1 settembre e il 31 dicembre 2019, ma non ha trovato alcun riscontro. Un altro studio cinese, che non è stato sottoposto a revisione paritaria, ha riferito di aver trovato tracce del coronavirus a gennaio e febbraio 2020 al mercato ittico di Wuhan, che è stato visitato da molte delle prime persone con Covid-19. I campioni sono stati prelevati da fognature, scarichi, superfici di porte e bancarelle del mercato e dal terreno. La loro conclusione è che il virus sia stato probabilmente diffuso dall’uomo. Ma la comunità scientifica, tra cui la virologa Angela Rasmussen, che lavora al Vido – il Centro canadese per la ricerca sulle pandemie – è ansiosa di vedere più da vicino i dati grezzi dello studio, e in particolare i risultati dei tamponi prelevati da una macchina spiumatrice, per capire se sia possibile risalire alla specie animale mancante.