L’intelligenza artificiale si sta imponendo, come prevedibile, non solo nel concepimento delle procedure di calcolo previsionale ma ovunque, spingendosi sino all’attuazione degli eventi gestori. Si sta insomma proponendo come soluzione a tutto, in sostituzione dell’esistente – un po’ come fecero le catene di montaggio robotizzate nell’industria meccanica e non solo – e in complementarietà con esso.
Un provvedimento ministeriale sul filo di lana
Una grande importanza assumerà anche nella pubblica amministrazione. Ne è un esempio lo schema di decreto interministeriale (la Salute di Schillaci e il Mef di Giorgetti), attuativo dell’art. 1, comma 269, della legge 234/2021 che è oramai alle battute finali, che fa entrare a gamba tesa il ricorso, anche se in via sperimentale, ad un algoritmo per determinare il fabbisogno di personale delle strutture erogative dell’assistenza ospedaliera (si vede IlSole24Ore del 6 febbraio scorso). Una opzione, questa, che invero meraviglia perché non tiene conto di quell’utile discrimine che occorre alle organizzazione della salute operanti prioritariamente nel sud più disagiato. Ma non solo.
Nel welfare uno non vale uno
Ricorrere a una metodologia simile, seppure come esperienza empirica, così come pretesa dalla anzidetta legge di bilancio per il 2022, è da ritenersi non propriamente la strada ottimale per pervenire alla migliore performance della Pa. Maggiormente per la sanità, ove il processo di individuazione del fabbisogno di personale deve essere necessariamente abbastanza complesso, perché subordinato ad esigenze della persona, in quanto tali assolutamente differenziate per territorio e composizione demografica. Ciò nel senso che, atteso che esso compito di determinarlo è attribuito per norma alle aziende sanitarie, nel perfezionarlo occorre tenere conto – tra le altre – di variabili di vita, patrimonio strutturale, patologie radicate, rischi territoriali, cultura sociale ed economia, tali da condizionare l’organizzazione pubblica e la disponibilità delle risorse umane individuate per l’erogazione della salute pubblica, in quanto tali segnatamente differenziate.
Sono temi sui quali è vietato giocare, pena guai irreparabili
Ebbene, proprio per questi motivi, tenuto conto degli anzidetti elementi di diversificazione caratterizzanti la previsione degli organici da destinare ai servizi pubblici, occorrerà stare ben attenti a non combinare guai, nel senso di fare diventare una tale metodologia regola generale. Ciò perché dalla determinazione del fabbisogno viene a pagare pegno anche il bilancio di previsione, e dunque le relative coperture, con sopportazione pluriennale dei costi di personale, una volta perfezionato il contratto di lavoro con chi conseguirà la relativa occupazione negli organici della Pa interessata.
Ricorrere poi a formulazioni tratte da risultati demo-statistici da estendere a tutta la Pa di medesima species, cui verrebbe attribuito di definire il modello al quale fare sempre e comunque riferimento, andrebbe a creare un altro vulnus. Verrebbe infatti leso l’esercizio dell’autonomia riconosciuta a tutti gli enti territoriali, così come alle aziende sanitarie cui è conferita addirittura una autonomia imprenditoriale.
Le ricadute sull’economia e sul federalismo fiscale
Una tale soluzione generebbe un rischio gravissimo, quello di registrare ricadute negative tali da misurare il fabbisogno del personale prescindendo dalle reali necessità dell’ente di riferimento, imponendo così coperture in bilancio non affatto commisurate né alle esigenze di servizio, né alla domanda sociale e né tampoco alle disponibilità economiche che, di qui in poi, dovranno fare i conti con il patto di stabilità e crescita. Del resto, nessun fabbisogno di personale può trovare ovunque cittadinanza senza le corrispondenti previsioni del bilancio preventivo e conseguente espletamento dei concorsi.
Non solo. Ma anche con l’introduzione a regime del federalismo fiscale, mettendo così in crisi il sistema dei fabbisogni standard, sia nella fase di programmazione che in quella di conduzione e gestione.
Insomma, in un momento nel quale sono in corsa l’individuazione del Lep, la determinazione dei costi standard e fabbisogni standard quantitativi per gli enti locali, la definizione dei fabbisogni standard differenziati regionali per i Lep e non Lep nonché delle regole e dei valori garanti della perequazione, ricorrere ad algoritmi appare francamente negativamente creativo. Senza contare che se, a seguito della verosimile approvazione definitiva del Ddl Calderoli, sarà attiva – in una ineludibile contemporaneità con i suddetti strumenti – l’opportunità per le Regioni di rivendicare una maggiore autonomia legislativa, ex art. 116 comma 3 della Costituzione, una siffatta sperimentazione sarebbe una inutile perdita di tempo e un grande spreco del danaro pubblico.
Il Sole 24 Ore sanita – di Ettore Jorio