L’è tutto da rifare. E’ quanto diceva il grande Gino Bartali a proposito del ciclismo di allora. Una frase che potrebbe essere declamata oggi, in tema di elaborazione dei piani del fabbisogno del personale, da tutte le pubbliche amministrazioni chiamate all’importante adempimento (si veda Sanità24 del 12 settembre ).
Nuove linee guida per il personale che occorre alla PA
Con la pubblicazione sulla GU nr. 215 del 14 settembre 2022 del Decreto adottato dal ministro per la Pubblica amministrazione, di concerto il con quello dell’Economia e delle Finanze, il 22 luglio scorso (registrato dalla Corte dei conti l’1 settembre) sono state implementate le regole per la sua corretta determinazione, attualizzata alle nuove esigenze. Il tutto per accelerare il conseguimento degli obiettivi fissati nel PNRR, in attuazione del testo unico del pubblico impiego che individua, agli art. 6-6 ter, nella programmazione triennale concertata il documento propedeutico all’ottimizzazione dell’impiego delle risorse pubbliche e delle perfomance, secondo i principi/obiettivi dell’efficienza.
Il provvedimento fissa dunque le linee di indirizzo per la pianificazione dei fabbisogni del personale, con particolare riguardo alla definizione dei nuovi profili professionali individuati dalla contrattazione collettiva. Pone la sua attenzione alla individuazione dell’insieme delle conoscenze, competenze, capacità del personale di cui la PA deve dotarsi per sostenere la transizione digitale ed ecologica cui la pubblica amministrazione deve orientare tutti i suoi sforzi.
Interessante l’obiettivo del raggiungimento di una nuova cultura pubblica nel programmare al meglio il proprio intervento di programmazione nella politica del personale. Finalmente una indicazione precisa e di buon profilo per il conseguimento del risultato, cui pervenire ovviamente gradatamente.
Competenza, competenza e competenza
Gli elementi per riuscirci ci sono, così come sono facili desumerli dal punto 2.2 del nutrito allegato (Dai profili professionali ai profili di competenza).
Ivi si accentua – come era ovvio che fosse attesa la specificità delle transizioni digitale ed ecologica che richiedono requisiti avanzati – sul concetto di competenza, quell’elemento culturale non facilmente riscontrabile nell’apparato pubblico. Spesso viziato da procedure selettive non propriamente ottimali, dettate spesso dal situazioni emergenziali ovvero da necessità di stabilizzazioni ancorché improprie. Apprezzabile la ridefinizione di competenza, così come nelle utilità burocratiche occorrenti. Puntare il dito su «come» le stesse debbano essere utilizzate nello svolgimento dei compiti è dimostrativo di puntare ad una nuova classe dirigente e ad un buon funzionariato. Puntare sulla capacità posseduta, l’abilità acquisita e le attitudini innate per influenzare il valore del prodotto da rendere alla pubblica amministrazione di appartenenza e da mettere a godimento della collettività rappresenta una novità pratica assoluta. Sino ad oggi relegata a teorie manualistiche mai divenute realtà salvo casi rarissimi, in quanto tale da pretendere concretezza applicata a tal punto da portare il personale pubblico ad agire professionalmente in modo efficace, flessibile e dinamico sul piano organizzativo ed erogativo dei compiti affidati al medesimo, da svolgere in modo inter-scambievole, attese le previste rotazioni quinquennali.
Nella sanità più che altrove
Dio solo sa quanto sia fondamentale per il diritto alla salute e l’assistenza sociosanitaria che dovrà fare della transizione digitale il suo punto di forza per la rilevazione del fabbisogno epidemiologico e lo sviluppo delle politiche di welfare e di quella verde, dalla quale dipenderà un ambiente meno produttivo di danni alla persona. Insomma, c’è la possibilità di avere in pentola l’ingrediente del cambiamento, correttivo degli errori di reclutamento, sia riferiti alle tipologie più funzionali a garantire la buona assistenza che alla qualità dei selezionati, compiuti sino ad ora da una PA che ha poco curato la qualità selettiva e la formazione.
In pendant con le prescrizioni che il DM fa relativamente al soddisfacimento della ineludibile esigenza di competenza, stigmatizza la sovente inadeguatezza, cui rimediare subito e assolutamente, dei sistemi di gestione del personale a tenere alta la motivazione dei dipendenti tutti, soprattutto dei più capaci, e ad assicurare le cure dirigenziali del caso.
La pianificazione dei bisogni in materia di salute, sia di personale che epidemiologici, costituisce l’occasione non solo di intelligente ripensamento delle aziende sanitarie, in termini di risorse umane, ma di fissazione della graduatorie delle utilità per guadagnare l’evoluzione necessaria dell’azione assistenziale diretta alla collettività sofferente. Quindi, occorre bandire sostituzioni acritiche e agire con la necessaria lungimiranza nell’individuare oltre il necessario.
Non più scopiazzature del piano precedente
Insomma, una bella nuova occasione per la PA e il Paese, relativamente ai risultati da materializzare con le risorse del PNRR.
Non solo. Tutto questo scriverà finalmente la parola fine alla solita reiterazione acritica del fabbisogno basato sulla mera successione. Previsto nella misura e nelle esigenze di ieri piuttosto che essere calibrate con quello di domani. In quanto tale incrementato di quello cessato (per l’anno in corso) e cessando (per i due successivi). Ma soprattutto di cambiare gli organici in modo tale da renderli funzionanti, produttivi e ben disposti al confronto sociale in senso lato.
Una grande attenzione, quindi, ai piani assunzionali e agli adempimenti agonistici successivi, da adeguare alla rielaborazione dei relativi piani del fabbisogno di personale, per dare l’avvio ad una nuova era. Quella della competenza, della carriera meritocratica e dei risultati tangibili. Quella, infine, di una sanità che rintracci il suo giusto senso nel personale che evolutivamente le necessità per sopperire alle nuove e rinnovate esigenze.
di Ettore Jorio, Università della Calabria. Il Sole 24 Ore sanità