«Prima le bestie. Poi la terra… Noi Montresor siamo così, di razza…». Il tutto, ovviamente senza le doppie. E rigorosamente declinato in dialetto. Perché anche questo è il «Lolo», all’anagrafe Giovanni Montresor. Uno che i soldi li ha fatti e li ha usati. Ma non ci si è plasmato sopra. «Un benefattore», senti dire per strada a Bussolengo.
Dove per quasi tutti è l’acquasanta che ha bagnato gli ultimi anni del boom edilizio – e di conseguenza economico – della zona. Il figlio del Brunone, il proprietario dell’unico macello del paese. Ne ammazzava anche 200 alla settimana di tori, il Brunone. Con quel figlio Giovanni a cui aveva fatto «fare» ragioneria perché non si sporcasse le mani con la trippa. Anzi, in quelle mani Brunone ci metteva i fascioni di soldi e spediva il «Lolo» all’estero, a comprare le bestie.
Ma il «Lolo» e suoi fratelli avevano un’altra idea su come spenderlo, quel denaro. Cemento al posto delle bistecche, edilizia al posto della macelleria. E ci convincono anche Brunone, a investire. E’ così che i «Loli» sono diventati imprenditori. Facendo il gioco più vecchio del mondo, nel settore immobiliare. Comprando al prezzo della terra appezzamenti agricoli e rendendoli edificabili, grazie a «fortunate» condivisioni con vari uffici pubblici. Rivendita, inutile dirlo, a valore moltiplicato.
«Noi siamo il primo gradino: vendiamo il lotto di terra», ha raccontato Giovanni Montresor a Paolo Biondani sulle pagine dell’Espresso. E molta se l’è tenuta per sè. Ha il sapore di una piccola corte, il buen retiro in mezzo ai campi annunciato da un viale chilometrico di cipressi, il casolare in cui vive, a Felissina. E nello spiazzo centrale l’immancabile statua di marmo è dedicata a lui. Al toro. Quello da cui partì tutto.
Ma il «Lolo» è uno che non si è mai accontentato. E a cui le cose complicate non sono mai piaciute. Quindi, quando ha potuto, ha «appianato». E’ finito nei grovigli di Tangentopoli, con tanto di politici che ammisero di aver preso i suoi soldi, risarcirono e patteggiarono. Lui tenne duro. Perché Giovanni Montresor sa riconoscere le debolezze altrui. Anche quelle dello Stato. E tutto scemò per le lungaggini della legge.
Ma uno così, mica può star confinato tra le mura di Bussolengo. Macché. E’ con il Lolo che i Montresor diventano «internazionali». E qui «casca l’asino» di Eraclea. L’affare nella laguna veneziana che, secondo il progetto, si sarebbe trasformata in una colata di cemento, con villette e un porto da 1.500 posti barca. Quei terreni, stando alla ricostruzione fatta dalla guardia di finanza di Venezia, erano di una società, la Essential. Che altro non sarebbe se non un ramo della lussemburghese Kempinsky, cassaforte da oltre 200 milioni. E di chi è la Kempinsky? Per la Finanza è del «Lolo». Che da tempo su questa vicenda sta combattendo in tribunale. O meglio, lo stanno facendo i suoi avvocati. Perché Montresor, come una star sul viale del tramonto, lesina le «uscite pubbliche». In aula non si è visto. Anche perché adesso ha una nuova idea. Per sfruttare al meglio quei campi attorno a casa dove adesso pascolano le pecore con il gps e cresce del grano che, si sa, ha un valore monetario alquanto misero, ha pensato bene di costruire un mega impianto fotovoltaico: Centottantamila pannelli solari. Lui ieri era a casa. «Ma non parla con nessuno – ha fatto sapere – perché ha appena subìto un operazione…». Ma il commento sarebbe stato quello che fa ad ogni indagine – finanziaria – che lo riguarda. «…’na ciavada…».
Angiola Petronio – Corriere del Veneto – 8 novembre 2013