L’Italia è il Paese con il Servizio sanitario nazionale più universalista e i Lea garantiscono a tutti cure più uguali possibili e gratuite. Ma in realtà, secondo i dati Eurostat al 2015, è uno dei Paesi con la percentuale più alta di bisogni sanitari insoddisfatti perché le cure mediche (Eurostat usa il termine “mediche” anche se il riferimento è più esteso) sono troppo costose.
Una contraddizione che però pone il nostro Paese in una classifica generale riferita alla media di tutte le fasce di reddito analizzate (Eurostat divide l’analisi per quintili di reddito) al quarto posto per percentuale di insoddisfatti con il 6,5% rispetto al 10,9% della Grecia, 8,3% della Romania e 6,8% della Lituania. In Romania e Lituania tuttavia, negli ultimi cinque anni (dal 2010) sono andati via via migliorando e la percentuale di insoddisfatti è gradualmente calata, mentre in Italia e Grecia il fenomeno è opposto.
Nel 2010 gli insoddisfatti per i costi troppo alti delle cure erano il 13,4% in Lituania e il 9,8% in Romania, mentre in Grecia ci si fermava al 4,2% e in Italia addirittura al 3,6%, poco più della metà di quelli attuali.
Analizzando il dettaglio per quintili di reddito in Italia, poi, si scopre che in realtà la percentuale più elevata di insoddisfatti è nelle prime due fasce, quelle dei redditi minori dove al primo quintile sono insoddisfatti il 14,2% dei cittadini e nel secondo il 9,1 per cento. Queste percentuali si abbattono passando al terzo quintile dove gli insoddisfatti sono il 5,2% e diventano il 2,8% nel quarto quintile e appena l’1,1% nel quinto.
Nei quintili di reddito italiani, secondo il rapporto sulle condizioni di vita dell’Istat, ci sono rispettivamente:
– nel primo il 47% circa di persone fino a 44 anni di età, il 53% di chi ha titoli di scuola elementari o di media inferiore, oltre il 70% di disoccupati;
– nel secondo percentuale di età maggiore, il 59%, è dai 45 anni in su, il titolo di studio prevalente è ancora la scuola elementare o media inferiore (52%) e la situazione lavorativa prevalente oltre il 47%) è non occupati-ritirati dal lavoro;
– nel terzo quintile il 54,5% degli individui ha tra 44 e 64 anni, c’è ancora il 24% circa che ha solo un titolo di scuola elementare, ma oltre il 40% ha quello di scuola media, inferiore e superiore e più del 14% è laureato;
– nel quarto quintile l’età è “spalmata” con circa il 21% di persone in tutte le fasce meno di 35 anni, 35-44, 45-54 e 55-64, i laureati diventano quasi il 35% e crollano al 14% quelli con titoli di scuola elementare, il 42% è lavoratore dipendente o autonomo (il 20% pensionato); nell’ultimo quintile, il quinto, più elevato per reddito, oltre il 71% delle persone ha tra 35 e 64 anni, il 44% è laureato e il 52% ha un lavoro dipendente o autonomo.
La suddivisione del reddito tra i quintili tuttavia non è equa.
Secondo l’Istat La distribuzione del reddito totale nei quinti fornisce una prima misura sintetica della diseguaglianza. In una situazione ipotetica di perfetta eguaglianza, ogni quinto avrebbe una quota di reddito pari al 20% del totale. Mentre le famiglie del primo quinto, con i redditi equivalenti più bassi, percepiscono il 6,7% del reddito totale, quelle del quinto più ricco il 39,5 per cento. Differenze significative si registrano anche rispetto alla ripartizione geografica: il 36,9% delle famiglie residenti nel Sud e nelle Isole appartiene al quinto dei redditi più bassi, rispetto al 14,1% di quelle che vivono nel Centro e all’11,3% delle famiglie del Nord.
Nel Nord e nel Centro una famiglia su quattro appartiene al quinto più ricco della distribuzione rispetto all’8,3% di quelle che vivono nel Sud e nelle Isole. La posizione delle famiglie nei quintili di reddito dipende anche dal numero dei componenti. Solo le famiglie composte da un componente risultano ripartite in misura sostanzialmente uniforme tra i diversi quintili. Quelle più numerose, di cinque o più persone, sono invece più concentrate nel quintile più basso (40,3%) e meno presenti nel quintile più ricco (8,8%).
Incrociando questi risultati con quelli di Eurostat, quindi, è evidente che le persone maggiormente “colpite” dai costi giudicati troppo elevati delle cure sono proprio i più fragili, quelli a cui dovrebbe essere in massima parte dedicata l’universalità dell’assistenza e la sua relativa gratuità.
Ad “aiutare” la sanità italiana e anche a dimostrare in qualche modo la sua qualità c’è però il dato sulla percentuale di persone che hanno, sempre secondo Eurostat una patologia o un problema di salute da lungo tempo. La suddivisione questa volta, nel nostro Paese è abbastanza equa tra i quintili di reddito e in tutti c’è tra il 25 e il 27% di persone in queste condizioni, tranne nel quinto dove ci si ferma a poco meno del 21 per cento.
La media italiana di tutti i quintili di reddito è del 24,8% e questo dato – anche se in leggero aumento rispetto al 2010 – pone l’Italia tra le nazioni più “sane” di quelle analizzate da Eurostat: su 30 Stati, infatti, è sestultima per percentuale di persone ammalate, il che bilancia i problemi legati a un distribuzione ancora non del tutto equa – per via dei costi dichiarati – delle cure.
Leggi tutto su Quotidiano sanità – 3 aprile 2017