La legge sull’etichetta di origine presentata in questi giorni come un vero strumento per tutelare il made in Italy è l’ennesima bufala. Basta analizzare alcuni articoli della norma per rendersene conto.
Innanzitutto l’articolo 6 della nuova legge distingue tra prodotti alimentari non trasformati (ad esempio il latte a lunga conservazione) e quelli trasformati (biscotti, pasta, pane… ).
Per gli alimenti non trasformati, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza è molto semplice, perché coincide con il Paese di produzione. In pratica per questi i cibi non ci sono particolari novità, visto che quasi tutti hanno già l’obbligo di indicare in etichetta l’origine (carne, latte fresco, ortotrutticoli, pesce …). Il discorso è un pò diverso per il latte a lunga conservazione UHT, visto che i produttori del nord Europa (Germania ed Olanda in particolare) osteggiano qualsiasi indicazione di origine, e si faranno sicuramente sentire presso la Commissione europea per contrastare il provvedimento italiano.
Per gli alimenti trasformati l’indicazione è più complessa per via dei diversi passaggi. La legge prevede che venga indicata la località a dell’ultima trasformazione sostanziale. Sull’etichetta deve apparire anche il luogo di coltivazione della materia prima agricola (nel caso di biscotti frollini prodotti in un’azienda alimentare di Parma, sarà necessario indicare oltre all’indirizzo anche l’origine della farina , ma non quello del grano). Nel caso di salumi invece, bisogna precisare oltre alla sede dell’industria anche il posto dove è stato allevato l’animale da cui proviene la carne.
La vera novità della legge riguarda quindi i prodotti trasformati, anche se il testo lascia spazio a qualche ambiguità. Secondo quanto scritto nella norma sulla confezione di un pacco di biscotti o di pasta si potrà scrivere “origine italiana” anche se se contengono solo il 51% di farina italiana (materia agricola prevalente).
Il consumatore sarà convinto di acquistare un prodotto 100% italiano quando in realtà non lo è. Certamente la legge verrà meglio delineata attraverso i decreti interministeriali applicativi, ma se il principio della “prevalenza” rimarrà, questa situazione sarà facilmente ipotizzabile.
L’altra bufala diffusa da molti media è che i cittadini saranno maggiormente tutelati dalla presenza di Organismi geneticamente modificati eventualmente presenti. Non è vero. La nuova legge estende l’obbligo di indicare il luogo di origine o di provenienza anche agli ingredienti in cui vi sia presenza di OGM, in qualsiasi fase della lavorazione. Il problema è che il limite di tolleranza (0,9%) stabilito dalla legge per l’eventuale inquinamento accidentale resta immutato. La novità è ridicola perchè da anni i produttori devono segnalare in etichetta la presenza di Ogm quando la contaminazione supera lo 0,9%. Nulla sostanzialmente di nuovo dunque.
Un particolare interessante da rilevare è che la legge che sull’indicazione degli Ogm, non si applica ai mangimi destinati agli animali di allevamento. Questo vuol dire che sull’etichetta non verrà indicato il tipo di mangime proposto agli animali nel corso dell’allevamento. La questioen non è banale visto che lamaggior parte dei mangimi venduti in Italia contengono l’80% di soia Ogm e anche molto del mais utilizzato è geneticamente modificato. Premesso che l’ EFSA ha più volte ribadito che le carni, il latte e le uova di animali nutriti con mangime OGM non contengono tracce residue, per cui non vi sono pericoli per il consuamtore, è singolare spacciare la nuova legge come una norma che tutela maggiormente i cittadini dagli Ogm, quando si dimentica di rendere obbligatorie le indicazioni sull’etichetta sul tipo di mangime. E non poteva essere diversamente, visto che buona parte degli allevamenti italiani (tranne quelli di mucche che producono formaggi Doc come Parmigiano Reggiano, Fontina ……..e quelli cresciut in aziende biologiche ) contengono soia o mais OGM. Potevamo bloccare con una legge gli allevamenti italiani?
Luigi Tozzi – ilfattoalimentare.it – 24 gennaio 2011