Non farà in tempo a sbarcare la settimana prossima sugli scaffali dei supermercati, che per l’etichetta trasparente sulle confezioni di pasta sarà già cominciato il conto alla rovescia della sua stessa fine. Per questa estate, infatti, è attesa l’entrata in vigore del regolamento comunitario che stabilirà che l’indicazione di provenienza della materia prima di un prodotto non è un’informazione obbligatoria, bensì facoltativa. La normativa Ue varrà per tutti i settori alimentari, non solo dunque per il grano utilizzato per la pasta, e riguarderà quella che viene considerata di caso in caso la «materia prima principale» alla base di un prodotto. In sostanza, i produttori potranno decidere di indicare sull’etichetta se l’ingrediente primario viene da un paese diverso da quello del prodotti finito, oppure no.
Ora, poiché la legislazione Ue vince su quella nazionale, per le etichette della pasta fra cinque o sei mesi sarà tutto da rifare. Le consultazioni a livello europeo degli attori potenzialmente coinvolti dalla riforma sono terminate il primo di febbraio scorso. Da quel momento, ci sono tre mesi di tempo per scrivere la nuova normativa, che dunque dovrà vedere la luce entro il primo di maggio.
Per non venir meno al patto di fiducia con i consumatori, i pastai che aderiscono all’Aidepi si dicono pronti in ogni caso a mantenere l’indicazione di provenienza del grano anche dopo l’entrata in vigore dei nuovi regolamenti europei. Ma il tasso di polemica verso il decreto sostenuto dalla Coldiretti e impugnato (senza successo) davanti al Tar resta elevato: «Siamo convinti che non è indicando la provenienza del grano che si dichiara la qualità o la sicurezza di un prodotto», ha ricordato ieri a Milano il presidente dei Pastai Aidepi, Riccardo Felicetti. Oggi, conferma, il grano duro utilizzato per produrre la pasta italiana viene dall’estero «in una percentuale variabile tra il 25 e il 35%, a seconda della stagione e della resa produttiva dei raccolti. Un conto però è il Paese di provenienza della materia prima, e un altro è quello della sua trasformazione: e il 99% di tutta la semola che utilizziamo viene macinata comunque in Italia».
Dall’etichetta sull’origine del grano, che comunque farà la sua comparsa a partire dalla prossima settimana sui pacchi di pasta prodotti in Italia, i produttori almeno non si aspettano contraccolpi sui mercati di sbocco internazionali: «Per i nostri clienti all’estero – spiega Felicetti – non ha alcuna importanza che anche il grano sia italiano per considerare una pasta come made in Italy, basta che lo sia la manifattura. Piuttosto, ci chiedono di essere competitivi sul prezzo rispetto a quei produttori che italiani non sono».
Micaela Cappellini – Il Sole 24 Ore – 8 febbraio 2018