A un mese dall’entrata in vigore della nuova normativa sull’etichettatura dei prodotti alimentari, rischia di saltare l’indicazione dello stabilimento di produzione. Il M5s presenta un’interpellanza urgente: “Perché togliere un’informazione che già c’era?”. Il Mise: “Serve una legge nazionale”. Il Mipaaf: “Priorità all’origine delle materie prime”. Il 13 dicembre entrerà in vigore la nuova etichetta europea, che si basa sul regolamento europeo 1169/11. La normativa in questione è il risultato di anni di lavoro del Consiglio e del Parlamento Ue e ha lo scopo di realizzare una base comune per regolamentare le informazioni sugli alimenti e consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli. In linea teorica, dunque, le nuove regole rispondono a un’esigenza di maggiore trasparenza, contribuiscono a uniformare le legislazioni dei singoli paesi e a garantire la libera circolazione di alimenti sicuri. Fin qui tutto bene.
Ma a leggere con attenzione gli articoli del regolamento, che modifica e abroga tutta una serie di direttive precedenti, ci si accorge che qualche lacuna c’è.
La più lampante è la mancanza dell’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o confezionamento. In Italia la legge 109/1992 prevede l’obbligo di indicare la sede dello stabilimento. Una volta entrato in vigore il nuovo regolamento europeo la legge 109 decadrà e tale indicazione potrà essere mantenuta solo a condizione che il governo italiano provveda alla notifica di questa norma alla Commissione europea.
Il ministero dello Sviluppo Economico (Mise), interpellato sulla questione dal Movimento Cinque Stelle, oggi ha risposto in aula alla Camera per bocca del sottosegretario Claudio De Vincenti, spiegando che al momento non c’è una legge per rendere obbligatoria l’indicazione della sede dello stabilimento. E non ha chiarito se c’è l’intenzione di farla.
“ll governo Renzi, che emana un decreto a settimana, viene a dirci in aula che manca la legge che obbliga questa disposizione – commenta Giuseppe L’Abbate, tra i primi firmatati dell’interpellanza assieme a Paolo Parentela – Siamo proprio il paese dell’incontrario. Quando è nell’interesse delle piccole e medie imprese italiane e della salute e della tutela di tutti i consumatori un decreto legge pare non si possa fare. Non vorrei che questo sia il primo passo verso un graduale allentamento delle normative in vista del TTIP (zona di libero scambio transatlantica un accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziazione tra l’Ue e Usa, ndr).
Perché l’indicazione dello stabilimento è così importante? I Cinque Stelle adducono due motivi. Il primo: “Conoscere la sede dello stabilimento di confezionamento di un prodotto alimentare – si legge nel testo dell’interpellanza – consente alle autorità di controllo di attivare facilmente le azioni correttive utili a mitigare il rischio per la salute pubblica in caso di allerta; ciò potrebbe accadere, ad esempio, nel caso di una conserva vegetale contaminata dalla tossina del botulino”.
Il secondo: “Serve ai singoli consumatori per scegliere un alimento rispetto a un altro anche in considerazione del Paese o della regione dove è prodotto per motivi legittimi come sostenere l’economia e l’occupazione locali, in nome del valore del lavoro”.
Di queste due considerazioni, però, è più pregnante la seconda, ossia quella che riguarda il sostegno all’economia di un dato territorio. La prima, infatti, quella che tocca la salute dei cittadini, è ormai superata dalle norme sulla tracciabilità. Come ci spiega Alfonso Sellitto, esperto del Ssica (Stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari, già ente pubblico ora azienda speciale della Camera di Commercio di Parma), “il perno della sicurezza alimentare non è più la sede dello stabilimento di produzione ma il lotto di appartenenza, grazie al quale si può risalire alla fabbrica e si può provvedere al ritiro dal mercato di prodotti contaminati o non conformi ai requisiti di legge”.
Anche l’indicazione del lotto di produzione in realtà manca nel regolamento 1169/11. Questa seconda ‘falla’ fortunatamente è stata tamponata in tempo essendo stata “recuperata” dalla direttiva 2011/91. Verrà perciò reintrodotta nelle nostre etichette tramite il decreto della Presidenza del Consiglio di ministri (attualmente in bozza) che recepisce la direttiva europea. L’informazione sul lotto, e dunque la sicurezza alimentare, sono in salvo.
Il M5s chiede però al governo una risposta a una semplice domanda: “Perché togliere un’indicazione che già c’era? Perché privare il consumatore di un’informazione immediata che, a colpo d’occhio, permette di risalire subito al luogo di fabbricazione di un prodotto?”.
Che cosa risponde l’esecutivo? Il già citato sottosegretario del Mise De Vincenti non ha escluso del tutto la possibilità di recuperare l’indicazione in etichetta dello stabilimento, ma ha spiegato che serve una legge: “Si ritiene che non vi sono preclusioni a prevedere l’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento– si legge nella risposta all’interpellanza data in aula – nel rispetto delle condizioni che il regolamento Ue n.1169/2011 impone agli Stati membri. Per operare in tal senso occorre, tuttavia, una specifica norma di legge o una delega al governo in materia di etichettatura (…). In tale contesto non appare possibile adottare i provvedimenti richiesti nell’interpellanza urgente in esame, per assenza, appunto, di una fonte primaria che li preveda. Si consideri, comunque, che per alcuni prodotti, come quelli di origine animale, trasformati e non, l’indicazione dello stabilimento di produzione è già prevista dalla disciplina comunitaria. Nello specifico, ai sensi del regolamento n.853/2004 il bollo sanitario o il marchio di identificazione, già recano la registrazione dello stabilimento di produzione. Peraltro, nel quadro normativo fornito dal più volte richiamato regolamento le imprese hanno già facoltà di inserire volontariamente in etichetta l’indicazione dello stabilimento. È fatta salva, infatti, la possibilità che l’informazione della sede dello stabilimento di produzione venga fornita volontariamente dagli operatori, anche a scopo informativo per il consumatore”.
Quindi: il governo valuterà l’opportunità di una legge, fermo restando il fatto che i produttori possono già volontariamente indicare in etichetta lo stabilimento. E magari le piccole aziende conserviere hanno tutto l’interesse a lasciare questa informazione per salvaguardare le produzioni tipiche locali.
Il ministero delle Politiche Agricole (Mipaaf) invita invece a ristabilire le giuste priorità: “Ci stiamo impegnando per salvaguardare in primo luogo la tracciabilità e l’indicazione dell’origine del prodotto. Riteniamo cioè sia più importante sapere innanzitutto da dove proviene la materia prima”. E proprio per giungere a un’etichetta alimentare “il più possibile trasparente e fatta su misura per il nostro mercato”, il Mipaaf ha lanciato sul proprio sito una consultazione pubblica, con tanto di questionario, in cui si chiede ai cittadini di indicare quali informazioni vorrebbero trovare sui prodotti. “La consultazione – aggiungono dal ministero – è aperta fino al 7 gennaio. Le risposte dei cittadini saranno vincolanti per elaborare proposte di legge successive all’entrata in vigore del regolamento europeo. Finora l’iniziativa ha avuto successo: in una settimana ci sono arrivati più di 2mila questionari compilati”.
Repubblica – 15 novembre 2014