Standard di fabbisogno per ogni livello di assistenza. Sostituzione significativa di quote del turn over. Possibilità di stabilire nuove regole per l’accesso al Ssn e anche per la formazione di medici dipendenti e Mmg. In arrivo anche standard retributivi. Queste le opportunità offerte dal Patto illustrate da Claudio Montaldo assessore alla sanità della regione Liguria e presidente del comitato di settore Regioni-Sanità
“Per la prima volta il tema dell’erogazione delle prestazioni ai cittadini acquisisce un peso uguale a quello della sostenibilità economica”.
È questa la novità sostanziala del nuovo Patto per la Salute per Claudio Montaldo, assessore alla sanità della regione Liguria nonché vicepresidente della Regione Liguria e presidente del comitato di settore Regioni-Sanità.
Un salto culturale che porterà cambiamenti importanti per il personale del Ssn. A partire dalla futura introduzione di livelli standard di personale per ogni livello di assistenza al fine di determinare il fabbisogno nazionale (sancita dall’art. 22 comma 4 lettera e), e dall’opportunità di vedere finalmente ammorbidite le rigide norme che hanno regolato il blocco automatico del turn over.
Ma non solo, per i dipendenti del Ssn potrebbero arrivare nuovi standard retributivi. Ed anche un cambio di passo per la formazione dei medici. Un’opportunità per riconoscere, come spiega Montaldo in questa intervista, che i giovani camici bianchi sono “medici laureati e abilitati e che il sistema non può più usarli in modo surrettizio per coprire le carenze dei reparti universitari”.
Assessore Montaldo, il Patto per la Salute consentirà realmente un cambio di passo per il personale del Ssn?
Sicuramente sì. Sancire che il blocco del turn over opera fino al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di verifica, è un grande passo in avanti. È chiaro che questo tema è legato a quello della sostenibilità economica e della riorganizzazione del sistema – in sostanza è un’opportunità per quelle Regioni che hanno dimostrato di avere le carte in regola – tuttavia è collegato anche a un passaggio fondamentale, che è poi la vera novità del Patto.
Mi spiego, il momento in cui si stabilisce che si introducono livelli standard di personale per ogni livello di assistenza al fine di determinare i fabbisogni, si sancisce che il tema della fornitura delle prestazioni ai cittadini diventa un elemento fondamentale e acquisisce un peso uguale a quello della sostenibilità economica.
Ma per garantire le prestazioni occorre garantire anche un numero adeguato di operatori in grado di erogarle. Sarà così?
Diciamo che con il Patto si aprono le porte a una sostituzione, in modo più significativo, di quote del turn over. Questo non significa che devono saltare i conti per assumere più personale, ma che questo processo va accompagnato a misure efficaci di riorganizzazione. Soprattutto possiamo finalmente iniziare a confrontare non solo il numero di persone che lavorano nei vari settori, ma anche i livelli retributivi.
Mi spieghi meglio?
Abbiamo disparità di costo del personale molto alto da Regione a Regione. Ci sono Regioni dove si guadagna di più e altre dove si guadagna di meno. Anche questo dovrà essere un elemento su cui ragionare.
Arriveranno quindi standard retributivi?
È uno dei temi dei costi standard. D’altro canto c’è una curva retributiva che in alcune Regioni è molto alta e in altre scende. Questo non è accettabile.
Ci sarà un livellamento verso l’alto o verso il basso?
Sarà nell’ambito dei nuovi contratti che si assorbiranno queste differenze, auspicando che a un certo punto possano esserci anche risorse economiche. È prematuro dare una risposta. Credo piuttosto che nella valorizzazione delle risorse umane bisognerà lavorare su integrazione, multidisciplinarietà e distinzione del percorso di carriera professionale da quello gestionale.
Altro tema caldo è quello dell’accesso al Ssn. Come intendete cambiare le regole?
Le indicazioni contenute nel Patto sono una grande occasione per fare in modo che i futuri medici entrino prima nel sistema. E possano avere una formazione più concentrata e aggiungo anche più efficace. La componente formativa legata all’attività lavorativa dovrà essere regolata in modo diverso, riconoscendo che abbiamo di fronte dei medici laureati e abilitati e che il sistema non può più usarli in modo surrettizio per coprire le carenze dei reparti universitari. Naturalmente le modalità d’inserimento e d’inquadramenti andranno discusse bene.
Ritengo che si tratti di un tema fondamentale per il futuro della sanità, anche alla luce dell’accelerazione che con altre misure si vuole dare al ricambio dei professionisti. Sono sempre scettico quando di fronte a un’innovazione che richiede di cambiare più cose, ci si ferma perché non si ha ben chiaro tutto. Mettiamoci d’accordo sul principio che si deve entrare nel modo del lavoro più giovani di adesso, poi elaboriamo come. È un’opportunità non solo per il mondo della sanità, ma offriamo un’occasione all’Università per rinnovarsi e aderire meglio alle esigenze dei giovani e della società.
Che tempi vi siete dati?
Questo è un processo che dovrà essere concluso entro il 31 ottobre
Sulla formazione dei medici di medicina generale?
Credo che anche i medici convenzionati dovranno entrare in una logica formativa un po’ diversa. Vale a dire che dovranno esserci percorsi formativi per i medici di medicina generale analoghi a quelli dei medici dipendenti, quindi con meccanismi di selezione analoghi e con la parte professionalizzante che deve essere svolta sia negli ospedali sia sul territorio, negli studi dei medici di famiglia. Inoltre è tempo di far emergere la formazione specifica degli MMG da un ambito troppo chiuso e superare anche la penalizzazione economica che colpisce i giovani medici dei corsi di medicina generale.
Quotidiano sanità – 23 luglio 2014