L’esigenza di una maggiore riservatezza non può rendere gravi le frasi con cui è stata evidenziata la carenza della lavoratrice. A maggior ragione se la censura è oggettiva, delimitata e non scantona…
Forse si potrebbe badare di più alle esigenze di riservatezza, ma, senza dubbio, ciò non rende addirittura offensive le frasi utilizzate per sottolineare comportamenti ed errori della lavoratrice. Di conseguenza, la reazione sopra le righe della dipendente non può essere considerata non punibile (Cassazione, sentenza 18965/12).
Botta e risposta. Eppure proprio questa è l’ottica della decisione assunta dal Giudice di pace: dipendente ‘salva’ per la «reciprocità delle ingiurie», ossia per lo ‘scambio di complimenti’ con la propria ‘capo squadra’.
Ma è una visione legittima? Non per la ‘capo squadra’, costituitasi parte civile. Difatti, è il Procuratore Generale a presentare ricorso per cassazione, proponendo una rivisitazione dell’episodio. Più precisamente, viene sottolineato che la ‘capo squadra’ si era limitata a smentire quanto detto dalla dipendente rivolta al ‘capo settore’, ossia di «aver sempre eseguito gli ordini». Tale intervento, secondo il Procuratore Generale, non poteva avere portata offensiva né essere considerato come «richiamo effettuato senza garanzie di riservatezza», perché, banalmente, sollecitato dalla dipendente, collocato «nell’ambito del rapporto di lavoro» e concernente «una specifica condotta, non la sfera personale» della dipendente.
Nessuna ritorsione. Per sciogliere i nodi della vicenda, comunque, i giudici di Cassazione richiamano la giurisprudenza, seppur datata: in sostanza, la censura, anche netta, di «un errato comportamento del dipendente», effettuata da una figura gerarchicamente superiore, non ha «potenzialità ingiuriosa».
Ne consegue che la reazione della dipendente è da valutare come assolutamente sproporzionata, anche considerando gli epiteti utilizzati, ossia «maniaca, boicottatrice e bugiarda», rivolti alla ‘capo squadra’, il cui richiamo è valutato, ora, come legittimo e moderato. Ecco perché la questione va rimessa nuovamente al Giudice di pace – la cui pronuncia è azzerata –, che dovrà tener presente quando indicato in Cassazione: nessun fondamento per l’ipotesi di ritorsione da parte della dipendente.
La Stampa – 7 agosto 2012