Sorpresi alle spalle dal nemico invisibile. Si aspettavano di trovarselo davanti, addosso a persone rientrate dalla Cina colpite da tosse e febbre alta e invece era nascosto. Abitava pazienti italiani mai stati in Oriente, malati in sale d’attesa affollate, in ambulatori, radiologie. Non sapevano che lo stavano già combattendo e così hanno tenuto bassa la guardia, finendo per essere contagiati anche loro. Medici e infermieri sono stati tra i primi ad essere colpiti dal coronavirus. Nell’ospedale di Codogno sono una decina i dipendenti risultati positivi al tampone ma anche in Veneto e in Piemonte vengono fatte centinaia di esami sul personale del sistema sanitario che ha curato gli insospettabili pazienti alla ricerca del microrganismo. Il timore è di trovare altri casi positivi nei prossimi giorni anche in quelle regioni. Intanto in Emilia-Romagna, a Piacenza, c’è un infermiere ricoverato.
E sempre dei medici hanno accompagnato il coronavirus fuori dall’ospedale. Il caso ha voluto che una pediatra di 57 anni che lavora nella zona ma vive con il marito medico di famiglia (65) in provincia di Pavia (esercita a Pieve Porto Morone e Chignolo Po) andasse a farsi una lastra a Codogno per chiarire se aveva la polmonite. Quel giorno nella piccola struttura sanitaria c’era il trentottenne dipendente Unilever che è poi risultato essere un superdiffusore del virus. Quando la dottoressa è tornata a casa ha contagiato il marito. «Per qualche giorno probabilmente ha continuato ad andare in studio », dicono dalla Regione. Si tratta di una circostanza inquietante, perché ovviamente si temono contatti con i pazienti, i suoi bambini ma anche gli adulti del marito: saranno quaranta le persone sottoposte al tampone nelle prossime ore. La coppia è ricoverata al San Matteo di Pavia.
Il sistema sanitario è sotto pressione. C’è tanto lavoro, alcuni camici bianchi e infermieri come visto si ammalano ma tantissimi devono fare la quarantena perché sono stati a contatto con persone contagiate. Loro restano a casa e i reparti si svuotano. Non solo a Codogno, un ospedale che rischia di chiudere nel giro di pochi giorni proprio per carenza di personale, ma anche strutture più grandi dove magari il problema è il superlavoro. Padova ad esempio cerca infettivologi e il Sacco di Milano si sta rinforzando per accogliere un super afflusso di pazienti. Intanto si fanno i tamponi. In Veneto ieri sono stati analizzati quelli di 120 tra medici e infermieri che nei giorni scorsi hanno curato i diversi casi che non si sapevano nemmeno essere sospetti, come quello di Adriano Trevisan, poi deceduto all’ospedale di Schiavonia, che è stato chiuso. «Medici e operatori sanitari devono essere messi nelle condizioni di lavorare in sicurezza per poter aiutare gli altri», ha detto il presidente dell’Ordine dei medici di Padova Paolo Simioni.
A riconoscere la delicatezza del momento per tutti quelli che devono curare e fare attenzione a non ammalarsi è stato già ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Desidero esprimere riconoscenza ai medici, al personale sanitario, ai ricercatori, agli uomini e donne della protezione civile e delle forze armate, a quanti in questi giorni si stanno impegnando contro il coronavirus »