Cinquecento casi in tutta Italia nel 2013, con un aumento del 264% rispetto alla media dei tre anni precedenti. L’epatite A torna a far paura e si ritiene che la causa (o una causa) dei contagi possa trovarsi nei frutti di bosco congelati. Per questo la Procura di Torino ha avviato un’indagine a campione sulle confezioni di mirtilli e simili venduti nei supermercati e negozi.
Al lavoro un consulente nominato dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, dopo l’allerta inviata nelle settimane scorse dal Ministero della Salute, che raccoglieva le indicazioni fornite dall’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare.
I NUMERI – Il Piemonte è una delle regioni più colpite dall’epidemia, con 65 casi di epatite A registrati quest’anno, più del doppio rispetto ai 33 di tutto il 2012. Otto hanno colpito persone che avevano mangiato i frutti di bosco. A livello nazionale, secondo i dati inviati da 16 regioni, i casi sarebbero 502, con un incremento del 70% rispetto allo scorso anno e del 264 rispetto alla media degli ultimi tre anni. La correlazione tra insorgenza del virus e consumo di frutti di bosco congelati non è facile da dimostrare visti i tempi di incubazione del virus, che possono arrivare anche a un paio di mesi. Si teme che i frutti di bosco provenienti (o lavorati) da Egitto, Cina o Nord Europa, lavati e congelati con acqua non potabile, siano il veicolo della trasmissione del contagio. Dunque Guariniello ha incaricato la polizia giudiziaria della forestale di campionare le confezioni di fragole, mirtilli, ribes, more e lamponi presenti nei punti vendita torinesi, che saranno poi analizzati dal consulente tecnico.
La Stampa – 13 agosto 2013