«Un futuro sostenibile e giusto è anche una nostra responsabilità»: la Carta di Milano, eredità dell’Expo dedicato all’alimentazione, parte da qui. E declina ciò che «crediamo», ciò che «riteniamo inaccettabile», ciò di cui «siamo consapevoli». Definendo poi gli impegni personali: come singoli cittadini, come associazioni, come imprese. Infine, le richieste a governi, istituzioni e organizzazioni internazionali.
Oggi viene presentato il documento, frutto del lavoro coordinato dal team del professor Salvatore Veca, di Laboratorio Expo-Fondazione Feltrinelli, che verrà consegnato al segretario dell’Onu Ban Ki-moon per contribuire alla definizione degli obiettivi del Millennio. Otto pagine di documento che verrà sottoposto alla firma di ciascuno dei visitatori di Expo o di chiunque lo vorrà condividere sul sito www.cartadimilano.it.
Nel giorno in cui il premier Matteo Renzi rilancia con un tweet l’entusiasmo per Expo («Siamo a quota dieci milioni di biglietti venduti. I padiglioni sono moto belli. Che forte l’Italia che non si rassegna»), ecco le anticipazioni dell’eredità culturale dell’evento. E dunque: noi crediamo «che le risorse del pianeta vadano gestite in modo equo, razionale ed efficiente affinché non siano sfruttate in modo eccessivo e non avvantaggino alcuni a svantaggio di altri». Così come crediamo che «una corretta gestione delle risorse idriche, ovvero una gestione che tenga conto del rapporto tra acqua, cibo ed energia, sia fondamentale per garantire il diritto al cibo di tutti». Riteniamo inaccettabile che «circa 800 milioni di persone soffrano di fame cronica, più di due miliardi siano malnutrite e comunque soffrano di carenze di vitamine e minerali; quasi due miliardi siano in sovrappeso o soffrano di obesità; 160 milioni di bambini soffrano di malnutrizione e crescita ritardata». Così come è inaccettabile che «ogni anno circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo prodotto per il consumo umano siano sprecati; più di 5 milioni di ettari di foresta scompaiano ogni anno, alle popolazioni locali e sul clima; le risorse del mare siano sfruttate in modo eccessivo e più del 30 per cento del pescato soggetto al commercio è sfruttato oltre la sua capacità di rigenerazione».
Gli impegni? Come cittadini, «ad avere cura e consapevolezza della natura del cibo di cui ci nutriamo, informandoci riguardo ai suoi ingredienti, alla loro origine e al come e dove è prodotto». Ma anche a «consumare solo le quantità di cibo sufficienti al fabbisogno» e ad «evitare lo spreco di acqua in tutte le attività quotidiane». Come società civile, tra l’altro, «valorizzare i piccoli produttori locali come protagonisti di una forma avanzata di sviluppo».
Ce n’è anche per le imprese (Barilla è una di quelle che ha già firmato e che, con la propria Fondazione, ha contribuito al testo), chiamate ad «applicare le normative e le convenzioni internazionali in materia ambientale», ma anche a «investire nella ricerca promuovendo», «promuovere la diversificazione delle produzioni agricole e di allevamento al fine di preservare la biodiversità e il benessere degli animali», «promuovere adeguate tecniche di imballaggio che permettano di ridurre i rifiuti».
«Vogliamo fare dei potenziali 20 milioni di visitatori attesi all’Expo — commenta il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina —, 20 milioni di ambasciatori del diritto al cibo nel mondo. La Carta, con l’aiuto della Fao e dell’Università Ca’ Foscari è già stata tradotta in ben 19 lingue e potrà quindi essere compresa direttamente nella propria lingua madre da 3 miliardi e mezzo di persone».
Una sfida, come ammette Veca: «Ci sono tanti interessi diversi in gioco e trovare un punto di equilibrio è difficile perché nessun patto è mai gratis. Qualsiasi impegno per un futuro più decente prevede la virtù della lungimiranza, in una civiltà che oggi invece vorrebbe solo risultati immediati. Questa è la sfida».
Elisabetta Soglio – Il Corriere della Sera – 28 aprile 2015