Per quali ragioni si consente ancora la caccia nelle province di Piacenza e Parma e, in particolare, la caccia al cinghiale, aumentando così enormemente il rischio della diffusione della peste suina africana (Psa) nel territorio regionale?». A porre il quesito, dopo che negli scorsi giorni nel comune di Ottone è stata trovata una carcassa di cinghiale con peste suina africana, è Giulia Gibertoni (Misto) che sottolinea ancora una volta il rischio di trovare entro poco tempo l’infezione all’interno degli allevamenti anche in Emilia-Romagna dopo quanto già accaduto in Lombardia.
Criticando il fatto che per il contrasto della malattia si siano individuate ancora una volta misure di «riduzione numerica della popolazione di cinghiali, affidate, come ormai di consueto, ai cacciatori», Gibertoni contesta il termine ‘bioregolatorio’ dato dal commissario straordinario nominato dal governo alle attività di caccia «a fronte dell’uccisione di 1,4 milioni di esemplari».
Nel sottolineare il ruolo antropico svolto nella diffusione dell’epidemia e di come «al 99% è sempre l’essere umano a portare la peste suina negli allevamenti intensivi, dal momento che il contatto diretto tra un maiale allevato e un cinghiale è impossibile”, la capogruppo sottolinea come il virus della PSA, una volta entrato in queste strutture, non viene scoperto immediatamente “perché è nascosto dalla mortalità standard di questo tipo di allevamenti, in cui quasi ogni giorno avvengo decessi per svariate cause. Questo fa sì che passino giorni, a volte settimane, prima che la mortalità indotta dalla peste suina assuma dimensioni importanti e tali da insospettire gli allevatori e destare allarme». In ragione della situazione descritta, Giulia Gibertoni chiede «di cominciare a diminuire la densità degli allevamenti intensivi di suini sul territorio regionale e, più in generale e per motivi ambientali e di salute, di tutti gli allevamenti intensivi in Emilia-Romagna».