Il Sole 24 Ore. Introvabili ma richiestissimi. È il destino degli infermieri, “merce” sempre più rara e preziosa per il Servizio sanitario nazionale che oltre a dover sopperire alle carenze negli ospedali ora si troverà con il grande problema di assoldarne almeno 20 mila da qui al 2026 per far partire la Sanità territoriale prevista dal Pnrr dove gli infermieri di famiglia e di comunità hanno un ruolo da protagonisti. Il nodo parte da lontano e cioè dalle aule universitarie dove addirittura da due anni a questa parte – nel 2020 e nel 2021 – si sono laureati più medici che infermieri. Un paradosso se si pensa che nella Sanità il rapporto infermieri-medici dovrebbe essere come minimo di 2 a 1 come era a esempio per le lauree in passato e invece l’anno scorso il corso di laurea triennale in infermieristica ha sfornato solo 9931 giovani infermieri a fronte dei 10461 neo-camici bianchi, scendendo appunto per la prima volta sotto il muro dei 10mila.
Ma perché così pochi? Le ragioni sono diverse e incrociano la formazione e la poca attrattività della carriera da infermiere: innanzitutto c’è il primo nodo delle università che non riescono a garantire il tirocinio per tutti e quindi non coprono con i posti che mettono a bando il reale fabbisogno. Per l’anno accademico 2021/2022, proprio di fronte all’allarme carenze, si è fatto uno sforzo arrivando a oltre 17mila posti a bando. Il problema però non sono solo i posti disponibili, ma anche il fatto che a concludere il corso di laurea in infermieristica in media è solo il 75% degli iscritti, una media che tra l’altro negli ultimi due anni di pandemia si è abbassata ancora di più per le difficoltà pratiche a svolgere la parte di tirocinio per l’emergenza Covid.
«La domanda di formazione degli Infermieri è in media negli ultimi 20 anni di 18 mila l’anno. Ma l’offerta da parte delle Università si ferma a soli 15 mila, una evidente e cronica carenza, Alla fine arrivano alla laurea dopo tre anni in 11 mila, pari al 75%», avverte Angelo Mastrillo, docente in organizzazione delle professioni sanitarie all’università di Bologna che ha messo in fila i numeri. Mastrillo segnala come la perdita del 25% avvenga «in genere nel passaggio dal primo al secondo anno, per varie ragioni, fra cui quella che alcuni studenti decidono di cambiare corso, ritentando l’esame di ammissione a Medicina o ad una delle altre lauree delle Professioni sanitarie».
Per la presidente Fnopi, la Federazione degli ordini delle professioni infermieristiche, Barbara Mangiacavalli il nodo di fondo è un altro: «È vero che i posti in formazione delle università sono pochi non coprendo neanche il turn over fisiologico. Ma è anche vero però che si possono aumentare i posti del corso ma poi se non si riempono con i candidati siamo daccapo. Il vero nodo – avverte Mangiacavalli – è la poca attratività della professione, se non la si valorizza nello sviluppo della carriera oltre che dal punto di vista economico la questione non si risolve e i giovani continueranno a sceglierla poco».