Il nuovo report mensile elaborato dalla Consulenza statistico attuariale rileva alla data del 31 dicembre un aumento di quasi 27mila casi rispetto alla fine di novembre (+25,7%). A conferma dell’impatto più intenso della seconda ondata dell’epidemia, il 57,6% delle denunce è concentrato nel trimestre ottobre-dicembre. In Veneto rispetto alla data di rilevazione del 30 novembre le denunce di infortunio sul lavoro da Covid-19 sono aumentate di 4.225 casi (+49,6%), 2.694 dei quali avvenuti a dicembre, 1.380 a novembre e i restanti riconducibili ai mesi precedenti. L’aumento ha riguardato tutte le province ma più intensamente in termini relativi quella di Vicenza (+69,4%) e Rovigo (+60,2%). Consistente il numero dei sanitari contagiati ma va segnalata anche nell’industria alimentare una “cospicua presenza di operai specializzati nelle lavorazioni di macellazione”. Scheda nazionale – I dati sulle denunce da Covid-19. Scheda Veneto.
I contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail alla data dello scorso 31 dicembre sono 131.090, pari al 23,7% delle denunce di infortunio pervenute all’Istituto nel 2020 e al 6,2% dei contagiati nazionali totali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data. A rilevarlo è il 12esimo report nazionale sulle infezioni di origine professionale da nuovo Coronavirus elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail, pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, da cui emerge un incremento di 26.762 casi (+25,7%) rispetto al monitoraggio precedente al 30 novembre, di cui 16.991 riferiti a dicembre, 7.901 a novembre e altri 1.599 a ottobre, complice la seconda ondata dell’epidemia, che ha avuto un impatto più intenso della prima anche in ambito lavorativo.
In novembre il record negativo con quasi 36mila infezioni segnalate all’Istituto. Oltre 75mila denunce, pari al 57,6% del totale, sono concentrate nel trimestre ottobre-dicembre contro le circa 50mila (38,5%) del trimestre marzo-maggio. Novembre, in particolare, con quasi 36mila denunce è il mese del 2020 col maggior numero di casi segnalati all’Istituto. Nei mesi estivi tra la prima e la seconda ondata si era invece registrato un ridimensionamento del fenomeno, con giugno, luglio e agosto al di sotto dei mille casi mensili, anche in considerazione delle ferie per molte categorie di lavoratori, e una leggera risalita a settembre (poco più di 1.800 casi, pari all’1,4%), che lasciava prevedere la ripresa dei contagi dei mesi successivi.
I morti sono 423, in maggioranza uomini (83,2%) e con un’età tra i 50 e 64 anni (70,2%). I casi mortali denunciati al 31 dicembre sono 423, 57 in più rispetto alla rilevazione del mese precedente e pari a circa un terzo del totale dei decessi denunciati all’Inail dall’inizio dell’anno, con un’incidenza dello 0,6% rispetto ai morti da Covid-19 comunicati dall’Iss alla data del 31 dicembre. A differenza del complesso delle denunce, per i casi mortali è la prima ondata dei contagi ad avere avuto un impatto più significativo della seconda. Quasi otto decessi su 10 (79,0%), infatti, sono avvenuti nel trimestre marzo-maggio contro il 18,0% del trimestre ottobre-dicembre. I casi mortali riguardano soprattutto gli uomini (83,2% del totale) e le fasce di età 50-64 anni (70,2%) e over 64 anni (19,9%).
Sette lavoratori contagiati su 10 sono donne. Prendendo in considerazione il complesso delle denunce, il rapporto tra i generi si inverte. Il 69,6% dei contagiati, infatti, sono donne, la cui quota nel mese di dicembre sale al 71,6%. L’età media dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni per entrambi i sessi. Il 42,2% delle infezioni di origine professionale denunciate riguarda la classe 50-64 anni. Seguono le fasce 35-49 anni (37,0%), under 34 anni (19,0%) e over 64 anni (1,8%). L’85,7% dei contagi riguarda lavoratori italiani. Il restante 14,3% sono stranieri (otto su 10 donne), concentrati soprattutto tra i lavoratori rumeni (pari al 20,9% dei contagiati stranieri), peruviani (14,0%), albanesi (7,9%), ecuadoregni (4,7%) e moldavi (4,2%).
Un quarto dei decessi nel settore della sanità e assistenza sociale. Rispetto alle attività produttive coinvolte dalla pandemia, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – con il 68,8% delle denunce e un quarto (25,2%) dei decessi codificati precede l’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), in cui ricadono il 9,1% delle infezioni denunciate e il 10,7% dei decessi. Gli altri settori più colpiti sono i servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il manifatturiero (tra cui gli addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il commercio, il trasporto e magazzinaggio, le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale) e altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…).
Più colpiti infermieri, operatori socio-sanitari e medici. L’analisi per professione dell’infortunato evidenzia la categoria dei tecnici della salute come quella più coinvolta da contagi con il 38,7% delle denunce (in tre casi su quattro sono donne), l’82,2% delle quali relative a infermieri, e il 10,0% dei casi mortali codificati. Seguono gli operatori socio-sanitari con il 19,2% delle denunce (l’80,9% sono donne), i medici con il 9,2% (il 48,0% sono donne), gli operatori socio-assistenziali con il 7,4% (l’85,1% donne) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7% (tre su quattro sono donne). Il restante personale coinvolto riguarda, tra le prime categorie professionali, impiegati amministrativi (4,1%, di cui il 68,9% donne), addetti ai servizi di pulizia (2,3%, il 78,3% donne), conduttori di veicoli (1,2%, con una preponderanza di contagi maschili pari al 91,9%) e direttori e dirigenti amministrativi e sanitari (0,9%, di cui il 45,8% donne).
L’incidenza del fenomeno nelle varie fasi della pandemia. Con riferimento all’analisi dei dati per mese di accadimento, si osserva una progressiva riduzione dell’incidenza dei casi di contagio per le professioni sanitarie tra le prime due fasi dell’epidemia e una risalita nella terza. La categoria dei tecnici della salute (prevalentemente infermieri), per esempio, dal 39,2% del primo periodo è passata al 23,5% del trimestre giugno-settembre, per poi ritornare al 39,2% nel trimestre ottobre-dicembre, così come i medici, scesi dal 10,1% nella fase di “lockdown” (fino a maggio compreso) al 5,4% in quella “post lockdown” (da giugno a settembre), per poi registrare l’8,8% nella seconda ondata dei contagi tra ottobre e dicembre. Altre professioni, come gli esercenti e addetti nelle attività di ristorazione, gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia o gli artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari, hanno invece visto aumentare l’incidenza dei casi di contagio tra le prime due fasi e registrato una riduzione nella terza.
I maggiori incrementi percentuali rilevati in alcune province del Sud. L’analisi territoriale conferma che le denunce ricadono soprattutto nel Nord del Paese: il 47,5% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 28,4%), il 23,0% nel Nord-Est (Veneto 9,7%), il 13,8% al Centro (Lazio 5,6%), l’11,5% al Sud (Campania 5,4%) e il 4,2% nelle Isole (Sicilia 2,7%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono Milano (11,1%), Torino (7,5%), Roma (4,5%), Napoli (3,8%), Brescia e Varese (2,8%), Genova e Verona (2,6%), Bergamo, Cuneo e Monza e Brianza (2,1%). La provincia di Milano è anche quella con il maggior numero di contagi professionali denunciati nel mese di dicembre, seguita da Torino, Roma, Verona e Varese. Sono però le province meridionali di Vibo Valentia, Oristano e Sud Sardegna a registrare i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione di novembre.
Nel Nord-Ovest più della metà dei casi mortali. Limitando l’analisi ai soli casi mortali, la percentuale del Nord-Ovest sale al 51,3% (prima la Lombardia con il 37,6%), mentre il Sud con il 18,9% dei decessi (Campania 9,5%) precede il Centro (13,9%), il Nord-Est (12,1%) e le Isole (3,8%). Le province che contano più decessi dall’inizio della pandemia sono quelle di Bergamo (10,4%), Milano (9,2%), Napoli (6,6%), Brescia (6,1%), Roma (5,4%), Cremona (4,3%), Torino e Genova (entrambe 3,5%).
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