Il pacchetto di emendamenti alla manovra — depositato ieri in commissione Bilancio alla Camera da governo e relatori — si distingue per quello che non c’è: dal taglio alle pensioni d’oro alle misure cardine gialloverdi, reddito di cittadinanza e quota 100. Ma anche quello che c’è rimanda a un classico di tutte le leggi finanziarie: microinterventi e mancette.
Mai legge di Bilancio fu così confusa e in ritardo sui tempi. Fin qui è stato approvata una sola modifica. Il testo è spiaggiato in commissione, deve ancora arrivare in aula, poi passare al Senato e ritornare alla Camera. Tutto entro dicembre, per evitare l’esercizio provvisorio.
Quanto ai numeri, i conti sballano di continuo. Il saldo finale è appeso alla trattativa con Bruxelles sul deficit che tiene in ostaggio tutto il resto. Persino l’emendamento sul taglio per 5 anni alle pensioni alte (dal 10 al 20%), quelle sopra i 90 mila euro lordi, è stato rinviato a Palazzo Madama. Quando — è la scommessa — si capirà se questa manovra da 37 miliardi deve restare così o dimagrire, per non essere seppellita dalla multa Ue e dall’impennata dello spread.
Si comprende allora perché reddito di cittadinanza e quota 100 non esistono ancora. C’è solo il fondo da 16 miliardi, sempre più a rischio. Nel frattempo la maggioranza Lega- M5S non si fa mancare nulla. Da questo punto di vista, la lettura dei 55 emendamenti — di cui 15 del governo, il resto dei relatori — è illuminante.
Interventi pulviscolari, con qualche eccezione. La norma anti- furbetti della flat tax al 15%: escluse le partite Iva che hanno fatturato con lo stesso datore negli ultimi due anni. Più fondi per il Cnr e per ridurre le liste d’attesa nella sanità. La deducibilità dell’Imu sui capannoni sale dal 20 al 40%. E l’assunzione di 4 mila persone nei centri per l’impiego, attingendo al miliardo stanziato per il reddito di cittadinanza: 120 milioni nel 2019, 160 milioni dal 2020. Norma fuori contesto perché priva della cornice legislativa sul reddito. E in ogni caso, pari a solo metà delle 8 mila assunzioni promesse dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio.
Per il resto, si spazia. Si consente alla Liguria per un anno — su richiesta del governatore Toti, dicono i gialloverdi — di alzare le accise della benzina di 5 centesimi al litro. Per il ponte? Si crea il catasto frutticolo nazionale (5 milioni in due anni). Si sostiene l’apicoltura ( 2 milioni). Si fonda il Tecnopolo Mediterraneo per lo sviluppo sostenibile a Taranto, nella Puglia del premier Conte ( 9 milioni nel triennio). A Napoli nasce la Scuola normale superiore meridionale (94 milioni fino al 2025).
Assunzioni sparse: 10 all’Avvocatura dello Stato e alla Corte dei Conti (4,2 milioni), 40 dirigenti al Mef (di cui 20 per gli studi di fattibilità sugli investimenti pubblici, 2,7 milioni), 3 all’Accademia della Crusca per sostenere la lingua italiana ( 236 mila euro), 57 all’ispettorato del ministero dell’agricoltura contro le frodi sui prodotti made in Italy ( 3 milioni all’anno). E poi ancora 700 mila euro per i duemila anni dalla morte di Publio Ovidio Nasone. Agevolazioni a 1.566 piccole farmacie. Proroga a Sisal per il Superenalotto. Un anno in più per dismettere le slot. E 25 milioni extra per il riordino delle carriere dei militari.
Non proprio una manovra del cambiamento.
Repubblica