«Effetto di attrazione». Il punto interrogativo sui segnali di ripresa arrivati in questi giorni dal numero delle assunzioni viene chiamato così in un documento dell’Ufficio parlamentare di bilancio, l’organismo indipendente che ha il compito di svolgere analisi e verifiche sulle previsioni del governo.
Tra gennaio e febbraio del 2015 — ha fatto sapere la settimana scorsa il ministero del Lavoro — sono stati firmati quasi 1,4 milioni di contratti. Con un aumento, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, di 154 mila contratti, il 12,6%. Se poi si abbassa la lente di ingrandimento solo su quelli a tempo indeterminato, i contratti in più sono 79 mila, mentre la crescita schizza al 35%.
Fin qui l’articolo 18 non c’entra nulla. Il nuovo contratto a tutele crescenti, che rende più facile il licenziamento, è partito dopo, il 7 marzo. C’entra invece lo sconto sui contributi per tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, un bonus disponibile dal primo gennaio del 2015 che può far risparmiare alle aziende fino a 8.060 euro l’anno. E qui arriviamo all’«effetto di attrazione», di cui parla l’ufficio parlamentare di bilancio. Nel 2014 lo sconto non c’era, nel 2015 sì. È quindi possibile, si legge nel documento, che ci sia stato un «rinvio delle assunzioni da parte delle imprese al fine di beneficiare degli sgravi contributivi». Chi pensava di prendere una persona a novembre o dicembre, insomma, ha rimandato la firma a gennaio o febbraio. E questo potrebbe aver «dopato» il dato del primo bimestre 2015, rendendo affrettata ogni conclusione generale sulla ripresa. Difficile dire che sia aumentata l’occupazione, insomma. Sia perché il ministero non ha comunicato i dati sui contratti di lavoro cessati nello stesso periodo, che pure vengono dalla medesima «banca dati». E fare la tara sarebbe necessario. Sia perché i volumi sono a spanne in linea con quei 10 milioni di contratti che fra attivazioni e cessazioni fanno girare ogni anno il nostro mercato del lavoro.
Si può dire, invece, che sia in crescita la tendenza ad assumere con il contratto a tempo indeterminato. Anche perché, allo sconto sui contributi, a marzo si è aggiunto per le imprese un altro incentivo, quello del nuovo contratto a tutele crescenti. Un contratto che viene considerato a tempo indeterminato perché non prevede una scadenza prefissata ma che con il superamento del vecchio articolo 18 sui licenziamenti dovrebbe essere più «attraente» per le imprese. Il risultato? Se nel primo bimestre del 2015 abbiamo viaggiato ad un ritmo di 150 mila assunzioni a tempo indeterminato al mese, da marzo in poi la velocità potrebbe salire. Le prime indiscrezioni dicono che la tendenza sia proprio questa.
Sarebbe un successo politico, perché uno degli obiettivi del Jobs act è proprio spostare verso un lavoro più stabile (sebbene senza il vecchio articolo 18) chi oggi ha un contratto a termine o da precario. Ma potrebbe costringere il governo a rifare i conti. Perché? Se le assunzioni a tempo indeterminato dovessero solo mantenere la velocità di crociera di questi primi due mesi, a fine anno i contratti stabili arriverebbero a 1,8 milioni. Non per tutti è previsto lo sconto dei contributi, che ad esempio non si applica a colf e badanti. Ma anche dopo questa sottrazione è difficile che si scenda a un milione, la cifra massima raggiungibile con i quasi 2 miliardi di euro stanziati dalla legge di Stabilità, come da relativa relazione tecnica. Se tutto va bene, insomma, sarà necessario trovare in corsa altri soldi.
Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera – 30 marzo 2015