Il boom delle tasse locali e la perversa miscela di tagli ai trasferimenti statali che ha generato a sua volta una pericolosa riduzione dei servizi ai cittadini. Il Sud super tartassato, con quelle addizionali che creano uno spread tra italiani con lo stesso reddito e al tempo stesso provocano un dumping tra le imprese col rischio crescente di delocalizzare produzioni e attività.
La sanità allo sbando in mezzo Belpaese. Il pozzo di San Patrizio (alla rovescia) delle società partecipate, che ingoiano perdite miliardarie e si moltiplicano come infinite «scatole cinesi». Se qualcuno avesse ancora dubbi, ci ha pensato la Corte dei conti, ieri, a demolire una volta per tutte il malsano federalismo fiscale made in Italy in onda dall’inizio del secolo. Una devolution – la chiamavano così – che ha portato con sè più tasse per gli italiani e che ha seminato nei bilanci degli enti locali debiti occulti e ritardi di pagamento alle imprese.
Non ha dubbi il presidente della Corte dei conti, Raffaele Squitieri: il completamento del federalismo fiscale «è oggi particolarmente urgente» ed è «una condizione indispensabile per il risanamento finanziario». Parole pesanti come macigni quelle consegnate ieri da Squitieri in Parlamento davanti alla bicamerale sul federalismo fiscale. Parole che arrivano mentre il Governo a misura di sindaci – e magari anche il Senato riveduto e corretto – sta pensando di rimettere mano al titolo V della Carta. E mentre dalla Ue salgono le preoccupazioni sulla tenuta dei conti italiani, forse col retropensiero di chiedere di usare le maniere forti per raddrizzare i conti pubblici.
È in questo contesto della grande crisi nazionale e internazionale che Squitieri ha lasciato in eredità alle Camere, e naturalmente al Governo, una relazione di 55 pagine che difficilmente potrà essere smontata. «I servizi essenziali sono a rischio per la riduzione dei trasferimenti», ha chiosato poche ore dopo il presidente dell’Anci e sindaco di Torino, Piero Fassino. Sindaci ai quali, peraltro, la Corte dei conti non ha negato giustificazioni, o qualcosa di simile. Ma non solo. Il buco nero delle partecipate ne è un esempio.
Eccole allora cifre e considerazioni snocciolate da Squitieri. A partire dal super carico fiscale per gli italiani. A partire da una sottolineatura: la «significativa accelerazione», dacché esiste il federalismo fiscale, delle entrate di competenza sia statali che locali. Un’impennata che, a guardare gli ultimi vent’anni, è stata del 130 per cento. Proprio così: +130%.. Che per l’80% è dovuta all’imposizione locale proprio mentre l’imposizione fiscale complessiva è strabordata dal 38 al 44%. Mentre l’imposizione locale è passata dal 5,5 al 15,9% dell’imposizione totale. S’è triplicata, ha rimarcato Squiteri. Tutto questo nel bel mezzo dei tagli con l’accetta di questi anni: 33 mld in meno di trasferimenti dal 2009, e altri ancora frutto della legge di stabilità 2014. Con la spesa al netto degli interessi calata nel 2011-2012 del 4,6% in termini nominali: «Una diminuzione che non ha precedenti negli ultimi sessant’anni». Altro che servizi locali: la scure dei sindaci è la conseguenza.
Un’illusione, il federalismo fiscale. Senza dimenticare che «sono i territori con i redditi medi più bassi e le economie in affanno» a pagarne di più lo scotto. Vale a dire il Sud. Dove le addizionali hanno fatto il resto, con il gap verso il Nord che s’allarga, i cittadini che pagano di più a parità di reddito, le imprese che magari delocalizzano. E intanto cala la tax compliance, l’allarme della Corte dei conti. Depressione su depressione. Che vale anche per Imu, Tasi e Tari, sia chiaro.
Ed ecco poi le «scatole cinesi» delle partecipate, su cui la Corte dei conti non può neppure dire la sua in sede di controllo. Una galassia perfino non ancora conosciuta del tutto, le società degli enti locali, con perdite medie di 652 mln nel 2012 che riguardano il 33% di queste realtà, perfino da tre anni consecutivi in rosso. Senza mai rimedi. Salvo diventare poltronifici e aree di clientele. Grazie alle quali gli enti locali hanno potuto eludere il patto di stabilità e «aggirare i vincoli del’indebitamento». Con tanto di debiti sotto il tappeto. Debiti occulti, che i soliti noti prima o poi pagheranno. Anzi, stiamo già profumatamente pagando.
Il Sole 24 Ore – 7 marzo 2014