La Corte di cassazione fissa i punti fermi nell’interpretazione del reato di inquinamento ambientale. Lo fa con la sentenza 46170/2016, la prima che affronta gli “ecodelitti” introdotti dalla legge 68/2015 nel Codice penale (articolo 452-bis). La pronuncia, depositata il 3 novembre, fissa i primi importanti princìpi interpretativi sul nuovo delitto.
Ma veniamo ai fatti. La Corte ha annullato con rinvio al Tribunale di La Spezia una vicenda sul dragaggio delle acque del golfo spezzino. Con il rinvio la Cassazione, sottolineando la novità, si sofferma opportunamente sugli elementi costituitivi del nuovo delitto, dando corpo ai suoi tratti salienti.
Primo tra tutti il concetto di abusività della condotta. Ripercorsa la propria giurisprudenza sull’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, la Corte ricorda che la condotta non è abusiva solo in assenza dell’autorizzazione (attività clandestina), ma anche quando questa sia scaduta o palesemente illegittima e comunque non commisurata al tipo di rifiuti ricevuti, di diversa natura rispetto a quelli autorizzati. Per i giudici, «tali princìpi sono senz’altro utilizzabili» anche in relazione al delitto di inquinamento ambientale, dove la condotta abusiva comprende «non soltanto quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali» anche se non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative.
Tale circostanza era stata riconosciuta anche dai giudici del riesame. La diversità di lettura, da cui è derivato l’annullamento da parte della Cassazione, si è appuntata sui parametri della significatività e della misurabilità della compromissione o del deterioramento derivanti dall’azione dell’agente, richiesti dalla norma ai fini del concretarsi della condotta delittuosa: la «o» disgiuntiva apposta dalla legge tra le parole «compromissione» e «deterioramento», secondo la Corte, «svolge una funzione di collegamento tra i due termini (autonomamente considerati dal legislatore, in alternativa fra loro) che indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli effetti». Infatti, entrambi si manifestano in un’alterazione. Cioè una «modifica dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema». Ma, in caso di compromissione, la modifica è caratterizzata da una condizione di rischio o di pericolo, quasi uno «squilibrio funzionale»: incide su normali processi naturali «correlati alla specificità della matrice ambientale o dell’ecosistema». Nel caso del deterioramento, invece, lo squilibrio è strutturale, in quanto si caratterizza in ragione di un «decadimento di stato o di qualità» delle indicate matrici o dell’ecosistema.
Ai fini del concretarsi del reato di inquinamento ambientale, è irrilevante che il fenomeno sia reversibile. Ciò rileva solo ai fini della distinzione con il delitto di disastro ambientale (articolo 452-quater del Codice penale), colpito più severamente.
La Corte analizza anche il significato dei termini «significativo» e «misurabile», affrontando uno dei piani che più aveva impensierito i primi interpreti. Sul primo, afferma che «denota senz’altro incisività e rilevanza»; sul secondo che «può dirsi di ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile» a prescindere dall’esistenza di limiti. Questo perché vi sono casi in cui, pur in assenza di limiti imposti da norme, la situazione di danno o pericolo per l’ambiente «è di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile». Opportunamente la Corte precisa che compromissione e deterioramento significativi non possono farsi «automaticamente derivare dal mero superamento dei limiti».
In un intorbidamento delle acque con moria di molluschi, il Tribunale non aveva ravvisato né compromissione né deterioramento, che riteneva si concretassero in una «tendenziale irrimediabilità». Ma la Cassazione sottolinea che la norma non la prevede.
Paola Ficco Il Sole 24 Ore – 10 novembre 2016