Giuseppe Salvaggiulo. Ambientalisti contro cacciatori, sui dolci pendii lontani «dai tumulti, dai rumori e dalle cure» che Petrarca scelse per trascorrere l’ultimo scorcio di vita e hanno ispirato letterati di tutto il mondo, da Shelley a Foscolo. Un codicillo natalizio inserito nella legge di bilancio della Regione Veneto restringe i confini del Parco dei Colli euganei, estrapolando alcune aree (eufemisticamente definite pre-parco o zone contigue) in cui allentare i vincoli su attività edilizie e caccia.
Il nuovo perimetro sarà deciso entro 90 giorni. L’obiettivo è ridurre di due terzi la superficie del parco, oggi di circa 18 mila ettari, in cui vivono 50 mila abitanti. Il promotore dell’emendamento, poi votato da tutto il centrodestra, è Sergio Berlato, recordman di preferenze e punta di lancia della lobby dei cacciatori (tra l’altro ha proposto di introdurre nel codice penale il reato di «disturbo e molestie ai cacciatori»).
La norma sostiene la «necessità e urgenza» di cancellare «norme eccessivamente vincolistiche che ingessano il territorio». In particolare, scrive Berlato nella relazione depositata in Regione, bisogna far fronte «a una situazione non più sostenibile» rappresentata «dai danni rilevanti» causati dall’aumento degli animali selvatici, soprattutto cinghiali.
Dodici dei 15 sindaci coinvolti si sono schierati contro, ma non è bastato. «È stata un’imboscata indecente, una cannonata che sbriciola un monumento», lamentano gli ambientalisti del Comitato difesa Colli Euganei in una lettera aperta al governatore leghista Luca Zaia.
I toni riecheggiano quelli del 1968, quando sorsero i primi comitati per tutelare i Colli. L’istituzione del parco, nel 1989, rappresentò uno dei primi casi di successo di mobilitazione popolare a scopo ambientale. All’epoca l’emergenza erano le cave, poi sarebbe diventata il consumo di suolo, che sull’onda dell’industrializzazione ha reso il Veneto una «città continua» di villette e capannoni. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), il consumo di suolo costa ogni anno al Veneto 137 milioni di euro. La superficie impermeabilizzata (edifici, infrastrutture, parcheggi) ha raggiunto il 12,2%. La media italiana è il 7,6%, solo la Lombardia è più cementificata.
Nonostante polemiche, minacce, incendi, tentativi di limitare i vincoli paesaggistici e progetti edilizi sia residenziali che industriali, finora il parco ha resistito. «Assediato» dall’urbanizzazione nelle aree precollinari, in particolare quelle termali, nelle mappe appare ancora un’oasi verde di straordinario pregio e varietà. Diversi intellettuali hanno descritto i Colli con metafore marine, «sorgono isolati come scogli sul mare» scriveva il geologo inglese John Strange nel 1770. E lo stesso Shelley, mezzo secolo dopo: «Sì, molte isole fiorite giacciono/nelle acque della vasta Agonia. / A un’isola così fu stamattina tratta / la mia barca».
Rilievi tra i 400 e i 500 metri si stagliano sulla pianura aprendo luminose insenature, esito di un’originale storia geologica. Monasteri e ville magnifiche punteggiano il paesaggio. Chi vi si addentra lasciandosi alle spalle Padova, dopo una decina di chilometri a Sud, si ritrova avviluppato in «snodi e nodi quasi gordiani creati dalle movenze collinari», come scriveva il poeta Andrea Zanzotto.
I nemici del parco non sono mai mancati: inevitabile, in un territorio assai antropizzato (ma proprio questo è il suo fascino). Gli allarmi sulle conseguenze economiche catastrofiche sono stati smentiti. Un rapporto dell’Ente Parco del 2003 documentava che «i tassi di crescita edilizia sono nella media di quelli della provincia», mentre si sviluppavano nuovi settori: olivicoltura triplicata in 15 anni, riscoperta dei vitigni autoctoni, diffusione del turismo enogastronomico e culturale.
I cinghiali («introdotti illegalmente», denunciano gli ambientalisti) dalla seconda metà degli Anni 90 danneggiano coltivazioni e flora selvatica e provocano incidenti con feriti anche gravi. Perfino il prefetto è intervenuto. Secondo la Coldiretti oggi ce ne sono almeno 4000 e si riproducono del 140-170% l’anno. Il Parco ne ha abbattuti 7.500 negli ultimi anni, ma è una lotta impari: possono operare solo 7 addetti con 41 cacciatori autorizzati a supporto.
Secondo agricoltori, cacciatori e maggioranza di centrodestra, l’unica soluzione è ridimensionare il parco. Secondo gli ambientalisti, bisognerebbe potenziarne le attività, mentre la riduzione del perimetro e dei vincoli sarebbe solo un favore a cacciatori e speculatori.
La Stampa – 4 gennaio 2017