Prima la manovra-bis. Poi, quando si metterà mano alla Legge di Bilancio 2018, un obiettivo ambizioso: trovare 10 miliardi per la riduzione del cuneo fiscale che interessi i neo assunti sotto i 35 anni e i redditi fino a 40 mila euro. La misura torna alla ribalta con il governo Gentiloni per cercare di dare una sferzata al potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti e alla competitività delle imprese. E’ una «prima» per l’entità dello sconto previsto, non per la misura in sè. Romano Prodi qualche tempo fa si lasciò andare ad un moto di risentimento: «Il mio governo tagliò il cuneo fiscale di 7 miliardi e mezzo e in molti ci sputarono sopra». Era il 2007, al fianco del Professore c’erano Tommaso Padoa-Schioppa al Tesoro e Pierluigi Bersani allo Sviluppo economico: dopo molte discussioni si decise di dare un taglio netto al costo del lavoro del 5%, 3% a favore delle imprese e 2% per i lavoratori.
Del resto il cuneo fiscale, cioè la differenza tra quanto costa un lavoratore all’azienda, comprese tasse e contributi, e quanto il medesimo percepisce in busta paga, in Italia è macroscopica. L’Ocse, che stila ogni anno il rapporto ben conosciuto ai tecnici, “Taxing Wages”, ha sentenziato che nella Penisola il “cuneo” è tra i più alti: nel 2015, ultimi dati disponibili, eravamo al quarto posto tra i Paesi più industrializzati con una differenza del 49% tra le due voci, in crescita rispetto all’anno precedente. La colpa è della forte pressione fiscale. Ma anche del peso contributivo.
Dunque tagliare. Ma come? Il problema di mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori è stato ben presente anche al governo Renzi, che tuttavia ha fatto una operazione più articolata e, secondo alcuni, non sempre efficace. Il perno è stato uno sconto Irpef, il famoso bonus di 80 euro, limitato tuttavia ai lavoratori che guadagnano tra gli 8 mila e i 26 mila euro. La misura è stata efficace per rilanciare potere d’acquisto e consumi ma lo “scalino” secco che consente di accedere o meno al bonus ha lasciato molti senza il beneficio ed è anche accaduto che ci sia stao chi ha percepito l’erogazione senza averne diritto. L’Eurostat non ci ha mai riconosciuto l’intervento come riduzione della pressione fiscale e continua a sovrastimare il peso delle tasse nel nostro Paese.
Sul lato delle aziende non si può dire che non si sia fatto nulla: l’Irap sul costo del lavoro è stata azzerata. E dall’inizio di quest’anno e, anche se in pochi ne parlano, è scattata una riduzione dell’Ires, la tassa sulle società, dal 27,5 al 24%.
I due provvedimenti tuttavia camminano su binari diversi e non si parlano. Le aziende che hanno gli sconti non è detto che impieghino i lavoratori della fascia che percepisce il bonus. Se poi vogliono assumere devono ricorrere ancora ad un’altra misura, ormai in esaurimento, dopo tre anni costati circa 20 miliardi: la decontribuzione per i neoassunti che ha aumentato l’occupazione a tempo indeterminato ma spesso è stata usata opportunisticamente.
Il taglio del cuneo tornerebbe invece ad essere una misura che mette insieme incentivi alle assunzioni (il taglio è previsto per chi assume lavoratori sotto i 35 anni) e benefici per aziende e lavoratori già assunti con redditi fino a 40 mila euro di reddito. Dunque una grossa operazione di redistribuzione del reddito che gira intorno alle aziende, aumenta la competitività e viene splamata sui redditi più bassi. I 10 miliardi, la cifra su cui lavora il governo, non è di poco conto. Dovrà naturalmente finanziarla la fiscalità generale, come sembra dal progetto: perché se si togliessero risorse ai contributi pensionistici la strada tornerebbe in salita.
Repubblica – 2 apreile 2017