«Hanno ucciso Excalibur». «No, no, non è possibile». Una cassa nera caricata su un furgone veterinario lascia poche speranze. Il presidio animalista reagisce. «Assassini, assassini». Sono solo 50 ragazzi e ragazze con quasi altrettanti cagnolini in braccio o al guinzaglio. Ma alle loro spalle, in diretta sui telefonini, c’è un intero popolo di amanti degli animali confuso da poche notizie e dall’idea che si sacrifichi una bestia tanto amata per nulla.
Manate e calci colpiscono le fiancate bianche. La polizia sfodera i manganelli, vuole far passare i veterinari. Dalle retrovie arriva una raffica di foto dai cellulari per la memoria pubblica sui social network. Un ragazzo si getta sul parabrezza e cade svenuto. Per un attimo sembra che la ragionevolezza possa riaffiorare. Si soccorre il ferito. Arriva una barella, raccolgono il ragazzo. L’adrenalina crolla e sgorgano le lacrime. Excalibur è morto.
Il «canicidio» che per tutto il giorno i ragazzi avevano sperato di evitare si è consumato. Il furgone con i vetri oscurati riesce finalmente a passare. È diretto a un inceneritore. Di Excalibur e del suo potenziale carico virale rimane solo cenere. «È la terza vittima spagnola di Ebola spagnola» dice qualcuno. Nel conto mette assieme i due missionari contagiati in Africa e il cane. L’appello di Javier Limon, marito della prima malata di Ebola che ha contratto il virus in Europa, ha avuto uno straordinario seguito, ma è andato a vuoto. «Aiutatemi a salvare il mio cane» aveva detto martedì in un video registrato nella sua camera di isolamento d’ospedale. Il video è stato ripreso dalla piattaforma Change.org e su Twitter. Centinaia di migliaia hanno aderito alla campagna #SalvemosaExcalibur. Anche lo scrittore Arturo Perez Reverte ha twittato acidissimo sull’animale: «Fa più danni la ministra del cane con Ebola». Questa volta le autorità sanitarie di Madrid però non hanno fatto compromessi sul principio di precauzione. «Non ci sono studi sul passaggio del virus da cane a uomo — ha ammesso l’assessore comunale alla Sanità —, ma i cani possono avere Ebola e risultare asintomatici. Non era il caso di tenere in vita un possibile veicolo di infezione».
Sin dal mattino il sit-in animalista ha reso difficile il lavoro agli operatori comunali. Due volontari si erano offerti di ospitare il cane durante la quarantena. Altri avevano prospettato per lui una carriera da cavia. «Quando mai gli scienziati avranno a disposizione un cane malato di Ebola da studiare?». Invece nulla. Né cavia, né quarantena. Solo lacrime per Excalibur.
Repubblica – 9 ottobre 2014