L’allarme è scattato per l’epidemia in corso in Guinea, soprattutto ora che il virus ha iniziato a diffondersi anche in grandi e popolose metropoli. L’Italia non ha scali diretti con il centro Africa, ma passeggeri infetti potrebbero arrivare da altri paesi europei che non abbiano effettuato dovuti controlli sanitari all’ingresso. In circa 40 anni dalla sua scoperta, epidemie circoscritte a piccoli focolai in Africa centrale hanno colpito, complessivamente, un migliaio di persone. Ora il virus ha iniziato a diffondersi anche in grandi e popolose metropoli, come la capitale della Guinea e altre città di Sierra Leone, Liberia, Senegal, mettendo a rischio milioni di persone. L’Oms e tante organizzazioni sanitarie stanno confluendo nella zona interessata e si stanno predisponendo ospedali di isolamento dei pazienti infetti.
Il codice rosso è scattato negli aeroporti europei di Parigi, Bruxelles, Madrid, Francoforte e Lisbona, principali scali dei voli provenienti dall’Africa. L’Italia non ha scali diretti con il centro Africa, ma passeggeri infetti potrebbero arrivare da altri paesi europei che non abbiano effettuato dovuti controlli sanitari all’ingresso nel loro paese.
“Il pericolo maggiore, rispetto al passato – spiega Pierangelo Clerici, Presidente Amcli (Associazione microbiologi clinici italiani) – è che purtroppo questa volta il virus non si è fermato ai villaggi rurali, ma ha iniziato a diffondersi in un grande centro urbano dove vivono due milioni di persone e si tratta del ceppo più aggressivo (ceppo Zaire). L’isolamento dei casi non basta ed è fondamentale tracciare la catena di trasmissione. Tutti i contatti dei pazienti che potrebbero essere stati contagiati dovrebbero essere monitorati e isolati al primo segno dell’infezione. L’Italia non ha voli diretti con le capitali dei Paesi attualmente coinvolti dall’epidemia; se da una parte è positivo, dall’altra è un fattore di difficoltà poiché passeggeri infetti potrebbero arrivare dagli scali europei. Sarebbe bene, quindi, che anche l’Italia iniziasse ad attivare misure di attenzione negli aeroporti e nei centri di prima accoglienza. La rete dei laboratori di microbiologia clinica in Italia comprende alcuni centri di riferimento con strutture di alto isolamento e capacità tecniche di diagnosticare queste patologie”.
Il virus Ebola si contrae attraverso il contatto diretto con persone e animali infetti e tramite sangue, urine, latte materno. Non si conosce ancora con certezza il serbatoio animale, ma sembra che il pipistrello sia il più probabile. Dopo un periodo d’incubazione che va dai 2 ai 21 giorni, il virus causa una febbre violenta, mal di testa, dolori muscolari, congiuntivite e fiacchezza generale, sintomi che molto spesso fanno pensare alla malaria e fanno iniziare il trattamento col chinino. In un secondo momento, il paziente ha vomito, diarrea e talvolta rash cutaneo. Il virus si diffonde nel sangue causando problemi di coagulazione ed emorragie gravissime. Familiari e operatori sanitari che curano i pazienti sono a elevato rischio di contrarre l’infezione.
Per arginare il fenomeno della trasmissione, alcune compagnie aeree chiedono un certificato sanitario redatto da un medico del posto prima di consentire ai passeggeri africani di salire a bordo di qualsiasi velivolo in partenza per l’Europa.
Ebola preoccupa l’OMS. Secondo l’organizzazione, l’attuale diffusione di focolai del virus in Guinea e Liberia è tra le più “difficili” mai affrontate e ci vorranno ancora alcuni mesi per superarla, ma la malattia può essere tenuta sotto controllo. L’ultimo bilancio è di 157 presunti casi di febbre emorragica in Guinea (di cui 101 già letali) e 21 nella vicina Liberia (con dieci morti). Episodi sospetti sono stati segnalati anche in Ghana, Sierra Leone e Mali, dove però due test sono risultati negativi. Non esistono vaccini o farmaci contro il virus, trasmesso dal contatto con sangue e fluidi biologici infetti o da alcuni animali selvatici.
Edoardo Stucchi – Quotidiano sanità – 9 aprile 2014