«Quello che da mesi si vive in Guinea o in Sierra Leone è una realtà che difficilmente potrebbe ripetersi in Europa. Tuttavia è opportuno tenere alto il livello di allerta». Saverio Bellizzi è tornato in Italia da poche settimane. Tra dieci giorni ripartirà alla volta della Liberia. È un epidemiologo di Medici senza frontiere e le zone a rischio, colpite da carestie, malattie, epidemie le conosce da anni. «L’epidemia di eboia è una delle più temibili degli ultimi anni ma non rappresenta una minaccia imbattibile». «Il rischio di una diffusione del virus nel nostro paese – spiega – è molto basso, ma non assente». L’epidemiologo esclude la possibilità che l’ebola possa diffondersi in Italia e in Europa attraverso gli sbarchi di clandestini che dalle coste dell’Africa settentrionale arrivano in Sicilia.
«Sono viaggi lunghi e faticosi che non durano meno di sei mesi, nessuno, contagiato dal virus, potrebbe arrivare vivo in Italia».
IL RISCHIO VOLI C’è però un’altra possibilità, sia pure remota. Ed è quella rappresentata dai voli aerei. Non solo quelli diretti, ma anche quelli che prevedono uno o più scali. «Potrebbe esserci – aggiunge Bellizzi – il passeggero che, pur avendo contratto il virus, non ha ancora manifestato la malattia». «L’ebola è un virus contagioso in maniera diretta», spiega l’epidemiologo. «Ciò significa che un soggetto diventa contaminante nel momento in cui si manifestano i primi sintomi». C’è però da considerare anche quel periodo d’incubazione «da un minimo di due a un massimo di 21 giorni», nel quale il paziente, pur covando l’infezione, è apparentemente sano. Di fatto, partendo dalla Sierra Leone o dalla Guinea con un volo di linea che atterra a Londra e prendendo poi la coincidenza per l’Italia, nonostante gli ingenti controlli che da settimane sono stati attivati negli aeroporti europei, un contagiato potrebbe arrivare nel nostro paese e sviluppare poi i primi malesseri. «È un’ipotesi a limite – aggiunge ancora Bellizzi – che potrebbe alimentare solo un allarmismo ma possibile nella sua rarità».
LA SITUAZIONE Intanto per Medici senza frontiere ci vorranno ancora circa duecento giorni prima di ripristinare la normalità in quelle zone dove, soprattutto nel periodo attuale di piogge, l’epidemia di eboia si diffonde con maggior facilità grazie all’aumento di patologie croniche, come la malaria. «I casi si amplificano – spiega Bellizzi – anche a causa delle condizioni di generale disagio sanitario e ambientale di quelle realtà».
Giuseppe Ruocco: «Le procedure d’emergenza, in Italia, hanno già funzionato»
«Le procedure d’emergenza, in Italia, hanno già funzionato. Sono state attivate alcune settimane fa per un allarme da “Monkeypox”, risultato poi falso. Con l’Ebola sarebbe la stessa cosa. L’ipotesi che possa esserci anche un solo caso in Italia è davvero remota». Parla così Giuseppe Ruocco, direttore genarale del dipartimento della Prevenzione del ministero della Salute. Attualmente Ruocco è a Giacarta per un vertice mondiale promosso dagli Usa sulle misure di prevenzione, identificazione e reazione alle epidemie trasmesse da animali. Quali sono le misure adottate dall’Italia per scongiurare il pericolo «In base all’analisi del rischio, l’Organizzazione mondiale della Sanità e il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno dato le indicazioni per evitarci rischi. Misure che riguardano soprattutto chi viaggia. Sono le stesse adottate per tutte le febbri emorragiche, le cosiddette zoonosi, malattie trasmesse da animali delle quali si discute in questo incontro internazionale già previsto, quasi profeticamente, prima dell’allarme Eboia, all’inizio dell’anno». In Italia, rispetto ad altri paesi c’è un rischio maggiore: sulle nostre coste, gli sbarchi sono continui. «Misure straordinarie erano state adottate già lo scorso giugno, con la partecipazione del ministero della Difesa a Mare Nostrum. I medici del ministero della Salute sono imbarcati sulle navi che vanno nel canale di Sicilia e gli accertamenti sui migranti sono eseguiti al momento della prima assistenza alle imbarcazioni». E il pericolo rispetto ai casi di incubazione? «L’importante è che la macchina sia allertata e tutte le strutture del territorio nazionale siano in grado di riconoscere i sintomi, riconducendoli al virus. Del resto l’unico caso in Italia di Mers, la sindrome respiratoria che arrivava dal Medioriente, è stata diagnosticata a Firenze. C’è da considerare il curriculum del paziente, non solo l’anamnesi. Una serie di elementi che possano ricondurre i sintomi al virus. Il contagio di Eboia non è così facile. E’ davvero remota l’ipotesi che la malattia possa raggiungerci attraverso i migranti. Forse è più probabile che arrivi per via aerea, anche se non ci sono voli diretti per l’Italia dai paesi dove l’epidemia si è diffusa. E’ comunque escluso che il virus possa dilagare. Avete visto le immagini delle strutture ospedaliere di quei paesi? Quando sulla nave Orione della Marina è stato segnalato il caso sospetto di Monkey pox (una forma di vaio- 10 trasmesso dalla scimmia ndr) tutte le procedure sono state attivate, il paziente è stato trasportato con strutture di sicurezza al reparto malattie infettive dello Spallanzani. Tutto ha funzionato alla perfezione». Qual è il tema dell’incontro di questi giorni L’incontro al quale partecipano quaranta paesi e vede la partecipazione Oms, della Fao e dell’Oie (Organizzazione mondiale per la salute degli animali) punta ad attivare misure per la prevenzione, l’identificazione e l’accelerazione nelle reazioni alle zoonosi. 11 70 per cento delle patologie ha questa origine e ci sono Paesi che non hanno un’organizzazione e strutture adeguate. Si predisporranno dei pacchetti di azione attraverso i quali i Paesi più organizzati prestino aiuto a quelli che lo sono meno.
Alberto Oliverio. L’emergenza. Virus Ebola le misure italiane sono insufficienti
La rapidità con cui l’epidemia virale di Eboia sta dilagando in alcuni paesi africani pone una seria minaccia, anche a detta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questa minaccia non è più limitata ai paesi in cui la malattia si è manifestata finora, prima in forma strisciante e poi epidemica, ma anche ai paesi lontani dai focolai originari. Il virus si diffonde per contatto diretto, ma anche attraverso il sangue e i liquidi biologici delle persone colpite, e dilaga facilmente nei paesi in cui le misure preventive sono scarse.
Nei paesi in cui la promiscuità è elevata e le risposte sanitarie quasi inesistenti. La gravita della malattia e la mancanza di terapie specifiche, allarma ovviamente l’opinione pubblica in quanto si teme una diffusione di Eboia lontano dai focolai tradizionali. Il problema legato a una possibile diffusione di Eboia non va sottovalutato, soprattutto nei paesi in cui i flussi migratori sono ormai fuori controllo, in primo luogo l’Italia che si trova oggi in prima linea nell’accogliere migliaia e migliaia di rifugiati provenienti da paesi non colpiti dall’epidemia ma anche migliaia di persone provenienti dai paesi africani la cui origine è difficilmente accertabile. Finora i migranti vengono sottoposti a controlli sanitari “tradizionali”, il personale di marina, pubblica sicurezza, sanitario e di accoglienza, pratica qualche misura protettiva, come l’uso di guanti, mascherine e tute.
C’è però da chiedersi quanto queste misure possano essere adeguate in rapporto alla minaccia di una trasmissione di Eboia e quanto le strutture di accoglienza siano in grado di fronteggiare casi sospetti o casi di malattia conclamata. Il Ministero dell’Interno è direttamente coinvolto in una serie di misure legate alla gestione dei flussi migratori ma tocca al Ministero della Sanità mettere in atto misure opportune che, al momento, sono fortemente carenti. Non è ovviamente facile dare risposta a questo problema ma è necessario valutare realisticamente quanto sia possibile accettare un flusso migratorio indifferenziato alla luce di una situazione di possibile contagio. Sino a questo momento il nostro Paese si è fatto carico del salvataggio e dell’accoglienza di oltre centornila migranti nell’anno corrente.
Alla luce di un aggravarsi dell’epidemia e della difficoltà di gestire eventuali casi di malattia, il Governo dovrebbe valutare quanto sia ancora possibile non mettere in atto politiche preventive e non “filtrare” i flussi. Il fatto che finora non si siano verificati dei problemi non garantisce che questi non possano emergere in modo improvviso nel prossimo futuro. Anche perché i timori suscitati nell’opinione pubblica dai rischi di una possibile diffusione minacciano di scatenare reazioni irrazionali. In sostanza, si tratta di affrontare la situazione con razionalità, prevedendo la possibilità, non remota, che il virus possa viaggiare al di fuori del continente africano: in questo senso l’Italia deve porre il problema a livello europeo perché non si tratta più di fare uno scaricabarile sull’accoglienza dei migranti ma su una possibile porta di infezione che non riguarderebbe soltanto il nostro paese. (Alberto Oliverio)
«Eboia, le scorte di farmaci non bastano»
Non sono buone le notizia sul fronte dell’epidemia Eboia: il numero dei morti sta crescendo, siamo arrivati a 1350 nei quattro Paesi colpiti – Guinea, Sierra Leone, Liberia e Nigeria -. La Nigeria sembra confermare tuttavia che la catena di contagio lì sia stata identificata e isolata del tutto e che non ci siano altri contagi da registrare. Ma la situazione nei primi tre Paesi è peggiorata e rischia di sfuggire di mano. Fino a 30 mila persone potrebbero avere un bisogno urgente di ricevere i farmaci sperimentali e i vaccini contro l’Ebola, ma le scorte sono del tutto inadeguate ail’ entità dell’epidemia. Così, in attesa che questi siano pronti, si cercano soluzioni alternative di emergenza. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sta infatti valutando di usare gli anticorpi contenuti nel plasma di chi è sopravvissuto alla malattia per aiutare i malati. Ieri è stato pubblicato il risultato di una ricerca condotta in Texas su un virus della stessa famiglia dell’Ebola, il Marburg. Gli esperimenti condotti dalla casa farmaceutica Tekmira Pharmaceuticals Corp, su scimmie infettate con il virus Marburg hanno portato alla scoperta di un farmaco sperimentale che agisce sul gene del virus e che potrebbe agire anche su quello dell’Ebola. Ma siamo lontani da esperimenti sugli esseri umani, e da un’eventuale approvazione di un farmaco.
ROBOT DISINFETTANTI Nel frattempo si cercano anche altri possibili supporti: II Messaggero ha riferito giorni fa come la malattia si sia diffusa per la mancanza di guanti di gomma nelle cliniche di campagna in Liberia e Sierra Leone. Un altro motivo, che sta diventando sempre più grave, è la mancanza di sufficienti disinfettanti. Ce ne vogliono moltissimi per sterilizzare cliniche e case dove un malato di Eboia abbia perso molto sangue. Un sistema sicuro e veloce potrebbe essere quello dei robot disinfettanti, che una azienda Usa ha inventato e sperimentato con successo contro i virus più letali. I robot ricorrono ai raggi ultraviolet- ti, capaci di agire sul Dna di virus e batteri. Due esemplari di questo robot, il Total Room Ultraviolet Disinfector (usando le prime lettere ne deriva il nome “Trudi”) sono in viaggio verso la Sierra Leone. Ma il nervosismo cresce in tutto il mondo. Negli Stati Uniti ci sono stati ben 68 falsi allarmi finora. E due persone sono ancora ricoverate per accertamenti: una donna nel Nuovo Messico e un uomo in California. Tutti e due erano stati nell’Africa Occidentale e avevano sintomi influenzali; il loro sangue è stato inviato al Centro malattìe infettive di Atlanta. L’allarme si è diffuso anche in Asia: in Vietnam e in Birmania si stanno effettuando controlli su tre pazienti – due nigeriani e un birmano – per verificare se abbiano contratto il virus. E in Africa dilaga la disperazione: «Questa è la più grande epidemia di Eboia che il mondo abbia mai visto» denuncia dalla Sierra Leone Rob Mac Gillivray, responsabile delle emergenze umanitarie di Save the Children. E in Liberia il rischio della violenza cresce di ora in ora: almeno in un caso le folle chiuse nelle zone sotto quarantena hanno tentato di fuggire. A Monrovia, la polizia ha sparato pallottole vere contro una massa di giovani che stava tentando di scappare dal ghetto di West Point, dove decine di migliala di persone vivono in condizioni igieniche gravi, e dove anche un solo caso di Eboia porterebbe inimmaginabile devastazione.
Ora anche l’Oriente teme il contagio
L’allerta Ora anche l’Oriente teme il contagio Ora è l’Oriente a temere l’arrivo di Eboia. Il Vietnam e la Birmania stanno effettuando dei test su tre pazienti – due nigeriani ed un birmano – per verificare se hanno contratto il virus. I due nigeriani, arrivati lunedì in Vietnam dal Qatar, sono stati messi in isolamento nell’ospedale delle malattie tropicali a Ho Chi Minh City, mentre in Birmania, un uomo di 22 anni proveniente dalla Guinea, è stato ricoverato dopo essere arrivato all’aeroporto di Rangoon. Un altro caso sospetto fa preoccupare gli Usa. Un paziente di un ospedale di Sacramento, in California, è stato posto in isolamento. Salgono intanto a 1.350 i morti nei quattro paesi africani colpiti dall’epidemia. Lo rende noto l’Oms, precisando che in due giorni, il 17 e il 18 agosto sono morte 106 persone. Nessun caso sospetto di Eboia è stato invece segnalato al Ministero della Salutein Italia nonostante la sorveglianza sia stata rafforzata, ha fatto sapere lo stesso ministero in un aggiornamento della situazione nazionale e internazionale. E nessuna conferma fino ad ora per i pochi casi sospetti segnalati in Europa.
Il Messaggero – 21 agosto 2014