Aveva accudito per giorni il direttore dell’ospedale di Monrovia in Liberia, stroncato sabato dal virus più mortale della storia che sta flagellando l’Africa occidentale e allarmando il mondo. E si è ammalato anche lui. Da venerdì il missionario spagnolo Miguel Pajares, 75 anni, era in isolamento. Sofferente, aveva chiesto di poter tornare a casa.
È stato il suo ordine religioso a sollecitarne il rimpatrio. E ieri Madrid ha deciso di andarlo a prendere con un aereo militare. Primo malato di Ebola rimpatriato in Europa. Destinazione l’ospedale Carlos III, dove è stato predisposto uno speciale reparto «sigillato» e dedicato soltanto a lui. La responsabile della Sanità spagnola, Mercedes Vinuesa, tenta di fugare le paure: assicura che sono state prese tutte le misure per evitare il contagio: «La sicurezza è garantita». Ma la psicosi da ebola si sta diffondendo nel Paese iberico. E anche in Italia. Al punto che la responsabile della Salute, Beatrice Lorenzin, è intervenuta ieri per smentire le voci sulla presenza del virus a Lampedusa che circolavano su Internet. Rispondendo poi alla Camera a un’interrogazione di un deputato leghista, Lorenzin ha denunciato che sono in corso «tentativi di procurato allarme», «nel nostro Paese non è stato riscontrato nessun caso» ha assicurato. Anche negli Stati Uniti, dove invece i ricoverati sono saliti a quattro, la situazione sarebbe sotto controllo: Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale Usa per le malattie infettive, pioniere della lotta all’Aids, si è detto «fiducioso» che l’epidemia non si svilupperà negli States. L’esperto giudica invece «molto seria» la situazione in Africa, per le condizioni sanitarie e i costumi locali. Spesso la gente appena avverte i sintomi della malattia (febbre, vomito, diarrea fino alle emorragie finali) esce dal villaggio alla ricerca di un guaritore tradizionale. Così il virus si diffonde velocemente, attraverso i liquidi, come sudore e sangue. Non solo: la tradizione vuole che quando un contagiato muore debba essere lavato e sepolto dai familiari. Ma la malattia è più aggressiva dopo la morte e questo è un ulteriore motivo di diffusione. Il bilancio delle vittime continua a salire, l’ultima conta dell’Oms riporta 932 morti e 1.711 casi accertati nei quattro Paesi africani colpiti: Guinea, Liberia, Sierra Leone e Nigeria, dove ieri è morta una delle infermiere che curò la prima vittima del virus nel Paese. Ieri il presidente Obama ha assicurato pieno aiuto per rispondere all’emergenza. E il governo nigeriano ha chiesto a Washington il farmaco sperimentale somministrato ai volontari americani ammalatisi in Liberia e rimpatriati. L’Oms ha convocato una riunione d’emergenza per valutare se, in assenza di farmaci o vaccini registrati contro Ebola, si possa ricorrere a trattamenti terapeutici mai testati sull’uomo come quello usato negli Usa.
Alessandra Muglia – Corriere della Sera – 7 agosto 2014