Esiste un farmaco contro l’Ebola ed è già in sperimentazione in Sierra Leone e in Liberia. Ma non si tratta di un prodotto nuovo, creato ad hoc, come imporrebbero gli enti internazionali che autorizzano la diffusione dei medicinali, bensì di una formulazione da tempo utilizzata nel trattamento delle aritmie cardiache e capace anche di contrastare il virus responsabile di oltre 10mila morti nel mondo.
Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova coordinato dal professor Giorgio Palù, a capo del Dipartimento di Medicina molecolare, e dal professor Aldo Baritussio, in forza alla Clinica Medica I dell’Azienda ospedaliera cittadina. L’équipe di scienziati, tra i quali Cristiano Salata e Arianna Calistri, hanno visto che l’Amiodarone è un grado di bloccare l’infezione in vitro delle cellule da parte del virus Ebola a concentrazioni normalmente raggiunte durante la terapia antiaritmica. «I risultati ottenuti suggeriscono che il farmaco possa inibire l’ingresso del virus nella cellula e l’avvio del ciclo infettivo — spiega Palù —. Per entrare nelle cellule, e poi replicarsi, il virus sfrutta gli endosomi, piccole vescicole che trasportano gli acidi grassi. L’Amiodarone impedisce tale processo, in più viene usato da decenni in clinica senza rilevanti problemi di tossicità, quindi è un buon candidato per la sperimentazione sull’uomo. Si può validarne l’azione in monoterapia o in combinazione con altre molecole più moderne e costose, attualmente in fase di sviluppo».
La scoperta, pubblicata su «Pathogens and Disease», rivista scientifica della Federazione delle Società europee di Microbiologia, nasce da quattro anni di ricerca, iniziata nell’ambito della collaborazione tra Palù e Baritussio nello studiare gli effetti di molecole che agiscono su organelli cellulari con i quali i virus interagiscono. Il protocollo ha potuto contare anche sul sostegno dell’Agenzia di Sanità Pubblica della Svezia, diretta da Ali Mirazimi e forte di un laboratorio di sicurezza BSL4 al Karolinska Institutet di Stoccolma, dove il virus Ebola è stato manipolato. «Il mio laboratorio, pur centro di riferimento regionale per l’Ebola, il West Nile e il virus della febbre emorragica Crimea-Congo, detiene ancora il livello di biosicurezza BSL3 — chiarisce Palù — perciò le prove in vitro sono state condotte in Svezia. Qui però abbiamo creato un ibrido, usando il guscio esterno di Ebola e inserendoci il virus della stomatite vescicolare che si comporta allo stesso modo per entrare nelle cellule, con l’obiettivo di capire come bloccarne l’ingresso. Sei mesi fa siamo arrivati all’Amiodarone».
La terapia è stata inserita in uno studio clinico in Sierra Leone e Liberia, dove viene somministrata ai pazienti negli ospedali di Emergency. «Il farmaco inibisce le particelle delle quali Ebola si serve per entrare nelle cellule — illustra ancora Palù — e quindi agisce nella prima fase dell’infezione. Di conseguenza va usato quando il paziente è stato appena contagiato o nella profilassi di persone a rischio. Ma la ricerca non finisce qui: stiamo caratterizzando l’Amiodarone e derivati ancora più attivi, per comprenderne a fondo il meccanismo d’azione».
Fatto sta che questa scoperta potrebbe portare al laboratorio dell’Università di Padova il riconoscimento di centro con massimo livello di biosicurezza BSL4, al momento concesso solo all’Istituto nazionale di malattie infettive «Spallanzani» di Roma e all’ospedale «Sacco» di Milano, con uguale specialità. Il professor Palù ne ha fatto richiesta, anche perché così l’Ateneo della città del Santo diventerebbe riferimento per l’Est Europa, dato che già collabora con équipe di scienziati di Romania, Bulgaria, Kosovo e Balcani.
A proposito di Balcani, lo stesso gruppo di ricerca su Ebola sta esaminando comportamento ed evoluzione di un altro virus ad alto impatto presente in quel territorio, sempre di classe 4 e capace di provocare febbre emorragica: si tratta del Congo-Crimea. E’ trasmesso da una zecca, che si trova sulle nostre Prealpi, quindi rappresenta una minaccia più vicina di quanto si pensi. Ecco dunque l’esigenza di condurre una ricerca completa, che prevede anche la manipolazione del virus, adesso però impossibile per il laboratorio di Padova. Per lo stesso motivo di Ebola: a causa dell’elevato potenziale di contagiosità, il tasso di letalità e la mancanza di cure, è classificato dall’Oms tra gli agenti patogeni da manipolare soltanto in laboratori dotati di massimo livello di biosicurezza.
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 3 maggio 2015