La Commissione Ue ha chiesto “chiarimenti” al governo spagnolo per individuare la falla nel suo sistema sanitario che ha permesso il contagio del virus Ebola ai danni di una infermiera in un ospedale di Madrid al di fuori dell’Africa. Lo ha detto il portavoce Ue, Frédéric Vincent. Ieri, a Madrid, è stato infatti accertato il primo caso di contagio in Europa. Si tratta di un’infermiera spagnola, infettata per aver curato in Spagna un missionario morto dopo essersi ammalatosi in Sierra Leone. E oggi le autorità spagnole hanno posto in quarantena il marito della donna. La direttrice della Salute pubblica Mercedes Vinuesa ha detto al Parlamento che le autorità stanno compilando una lista delle altre persone che potrebbero essere entrate in contatto con la donna affetta dal virus, in modo che possano essere monitorate. La Spagna ha diverse terapie disponibili e ha cominciato ad applicarle, ha aggiunto Vinuera, senza fornire ulteriori dettagli. L’operatrice sanitaria è in condizioni stabili.
E sul timore di contagi in Europa il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin dice: “I tagli al sistema sanitario mettono a rischio anche i sistemi di controllo. Le ispezioni non si fanno da sole. La sicurezza è uno degli aspetti che dobbiamo preservare come priorità. Per questo ho chiesto più fondi nella legge di stabilità”. Per quanto riguarda l’Italia, Lorenzin ha tenuto a sottolineare che non si deve creare allarmismo sulla possibilità che i migranti possano portare il virus e diffonderlo in Italia. “La durata del viaggio, in caso di flussi migratori irregolari via mare, e’ tale da rendere estremamente improbabile l’arrivo di casi di infezione di virus ebola, la cui incubazione e’ di circa sette-dieci giorni. Ricordo poi che l’Italia, a differenza di altri Paesi europei, non ha collegamenti aerei diretti con i Paesi dell’Africa occidentali interessati”. Peraltro, ha proseguito, il dicastero della Salute partecipa all’operazione Mare Nostrum verificando “quando i migranti sono ancora a bordo la presenza di malattie infettive”.
Madrid, curò un missionario infermiera malata di Ebola: è il primo contagio in Europa. La protesta dei sanitari spagnoli: “Non siamo protetti”.
Alessandro Oppes. È un’infermiera di Madrid la prima contagiata da Ebola fuori dal continente africano. E adesso la psicosi del contagio arriva anche in Europa. Appena due settimane fa, la donna — 44 anni, di origine galiziana, il nome non è stato ancora rivelato — aveva fatto parte dell’équipe di sanitari chiamati ad assistere il missionario spagnolo Manuel García Viejo, rimpatriato con un volo speciale dalla Sierra Leone dove aveva contratto il virus, ma deceduto quattro giorni più tardi. A quanto ha rivelato il responsabile della sanità regionale, Antonio Alemany, in due occasioni l’infermiera era entrata nella zona di massimo isolamento dell’ospedale Carlos III, nella stanza in cui era ricoverato il religioso: la prima per prendere la temperatura al paziente, la seconda già dopo il decesso, per la raccolta del materiale da distruggere. Il virus avrebbe agito con grande celerità, anche prima dei 21 giorni indicati come il periodo normale di incubazione.
García Viejo — che nella Sierra Leone era direttore medico dell’ospedale San Juan de Dios, a Lunsar — arrivò a Madrid in gravissime condizioni (anche con serie disfunzioni epatiche e renali) il 21 settembre e morì il 25. Dal giorno successivo l’infermiera cominciò il suo periodo di ferie, e da allora non è più rientrata al lavoro. Ha cominciato ad avvertire i primi sintomi, nella sua casa di Alcorcón, periferia sud di Madrid, dove vive con il marito (non hanno figli) pochi giorni più tardi. Dunque poco più di una settimana dopo essere entrata in contatto con il religioso infettato. Qualche linea di febbre, che è andata rapidamente in aumento. Tanto che ha deciso di presentarsi, protetta da una mascherina, all’ospedale di Alcorcón, uno dei centri principali della cintura della capitale. In poco tempo, con una doppia analisi, è stato accertato il contagio. E a quel punto è stato deciso il trasferimento all’ospedale Carlos III, nella zona di Madrid, vicino alle quattro torri della Business Area e non distante dallo stadio Santiago Bernabeu: è il centro specializzato per il trattamento dell’Ebola, in cui la stessa infermiera lavora e dove sono stati trattati sia García Viejo sia, all’inizio di agosto, padre Miguel Pajares, il religioso rimpatriato dalla Liberia e anche lui deceduto poco dopo il ricovero.
Mentre dagli Stati Uniti il presidente Obama tuona contro «i grandi paesi che non fanno abbastanza per aiutare gli Stati africani colpiti» ed evoca «un’azione veloce», resta, per ora, il mistero su come sia potuto avvenire il contagio. Dopo aver riunito d’urgenza un gabinetto di crisi, il ministro della Sanità Ana Mato si è limitata ad assicurare che si sta facendo «tutto il possibile per garantire la sicurezza del personale sanitario e di tutta la popolazione». Ma ha dovuto ammettere che si sta valutando se «sono stati seguiti scrupolosamente tutti i protocolli d’attuazione » stabiliti dall’Oms e adottati dalle autorità sanitarie spagnole. Evidentemente, qualcosa non ha funzionato. E già cominciano a levarsi le prime voci critiche. A cominciare proprio dai diretti interessati: secondo quanto riporta El País, è il personale sanitario del Carlos III a de- nunciare che le tute fornite loro per assistere i due missionari colpiti da Ebola non avevano i requisiti di sicurezza previsti. In casi di una simile gravità, bisognerebbe infatti indossare indumenti di “livello 4”, cioè completamente impermeabili e con respirazione autonoma. I sanitari denunciano invece di aver ricevuto tute di “livello 2”, senza ventilazione e con guanti di lattice fissati con nastro adesivo. Il presidente del Consiglio generale d’infermeria, Máximo González Jurado, ha segnalato con preoccupazione il rapporto ricevuto appena pochi giorni fa da un medico, in cui si spiegava che le misure seguite negli ospedali spagnoli per il trattamento dei possibili casi di Ebola «sono molto sicure dal punto di vista della salute pubblica, ma presentano molti problemi dal punto di vista dei lavoratori del settore ». E il presidente del sindacato medico Amyts, Daniel Bernabéu, dice con «un misto di costernazione e indignazione» che «qualunque contatto comportava un rischio di cui il governo avrebbe dovuto farsi carico».
Ora la paziente «è in condizioni stabili, con la febbre intorno a 38,6». Ma sulla possibilità che, negli ultimi giorni, abbia potuto trasmettere il virus ad altre persone, il ministro e i dirigenti della sanità madrilena sono stati vaghi. Sotto controllo il marito, che al momento non presenta sintomi, è stato attivato il «protocollo di vigilanza epidemiologica » anche per i 30 fra medici e infermieri del Carlos III che hanno assistito i due religiosi deceduti e per il personale dell’ospedale di Alcorcón dove è stato accertato il contagio.
“Fatale anche un solo errore di procedura”
Michele Bocci. «Èsuccesso quello che non doveva succedere ». Il dottor Giovanni Rezza è il responsabile del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità e accoglie con preoccupazione le notizie arrivate da Madrid. «Bisogna essere molto rigidi sulle misure di protezione».
Dottore, cosa è successo in Spagna?
«C’è stato un errore e con l’Ebola gli errori si pagano. Abbiamo avuto vari casi di persone rientrate in Occidente con la malattia ma mai avevamo visto una falla nel sistema di protezione individuale degli operatori sanitari. Le procedure da seguire per avvicinarsi a questi pazienti sono lunghe e complesse. Non bisogna solo vestirsi nel modo giusto ma anche usare precauzioni nelle fasi dell’assistenza. E bisogna passare molto tempo a spogliarsi. Ecco, se tutto questo è eseguito bene non ci sono rischi».
Si era detto che negli Usa e in Europa, visto il livello degli ospedali, i contagi in ambiente sanitario non ci sarebbero stati.
«È così, da noi le procedure vengono applicate meglio. Nei paesi colpiti in Africa negli ospedali il virus si trasmette frequentemente, la situazione non è assolutamente paragonabile. A Madrid c’è stato un incidente di percorso, ma non va minimizzato».
Adesso può scoppiare un focolaio in Spagna?
«Un piccolo focolaio può anche esserci ma escludo che inizi una situazione di allarme. Del resto anche in paesi africani come Nigeria e Senegal ci sono stati alcuni casi, ma l’epidemia non è esplosa. Ora vanno valutati vari fattori. Intanto bisogna ricordare che l’Ebola non si trasmette se non ci sono i sintomi della malattia: chi lo sta incubando non è contagioso. Se quella operatrice sanitaria è andata su mezzi pubblici o in locali quando stava bene non ha attaccato niente a nessuno. Mi auguro però che, visto che era stata a contatto con il malato, si misurasse la febbre un paio di volte al giorno. E soprattutto spero sia andata in ospedale ai primi sintomi. Faranno un’indagine epidemiologica per rintracciare tutti i suoi contatti ».
Una cosa del genere deve far ripensare alle misure prese nel nostro paese?
«No, qui siamo pronti ma quell’episodio ci dice che dobbiamo essere molto rigidi sulle procedure di protezione individuale e vigilare sulle misure per controllare l’infezione. Ad esempio non va commesso neanche l’errore fatto negli Usa, dove hanno rimandato a casa una persona di rientro dalla Liberia con sintomi influenzali. Da mesi il ministero ha allertato tutte le Regioni, le autorità portuali e aeroportuali. Sono stati individuati i centri clinici di riferimento e i laboratori di massima sicurezza, il Sacco di Milano e lo Spallanzani di Roma. La rete è predisposta, anche se speriamo di non doverla usare».
E se arriverà un caso, cosa succederà?
«La cosa più importante è fare un isolamento precoce. Cioè bisogna intercettare il malato tra le persone a rischio, perché ha la febbre ed è stato in uno dei paesi dove c’è l’epidemia. Se la persona viene messa in quarantena poco dopo che il virus ha iniziato a manifestarsi non ci sono rischi di contagio».
Repubblica – 7 ottobre 2014