di Mario Pappagallo. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) guarda e parla sottovoce. Niente a che vedere con l’allerta rosso (pandemia) dei giorni della Nuova influenza (chiamata anche Messicana o suina). Guai a enfatizzare, guai ad allarmare. E allora che cosa fare di Ebola? Virus difficilmente contrastabile se infetta, virus incurabile nella sua espressione Ebola, virus che se uccide poche decine di poveri africani e qualche sanitario animato da spirito solidale non interessa nessuno. Adesso però ci siamo. Ebola rivendica la scena sul palcoscenico internazionale. E colpisce. Ultimo bollettino: 543 il numero di morti causati dal virus di Ebola in Guinea, Liberia e Sierra Leone, portando il numero totale di contagi dallo scoppio dell’epidemia a 891, di cui 543 mortali. All’inizio di questa sua nuova apparizione era solo Guinea.
Poi la lenta, ma al momento inarrestabile, diffusione. Medici senza frontiere (Msf) era già al limite delle forze all’inizio di luglio. Sta per alzare bandiera bianca, mentre il mondo guarda. Tenere l’epidemia sotto controllo richiederebbe un massiccio dispiegamento di risorse da parte dei governi dell’Africa occidentale e delle organizzazioni umanitarie. Ma cosi non è. Anche se negli aeroporti francesi resta l’allerta rosso. Non ancora come per l’aviaria, la Sars, la suina-nuova influenza.
I rischi vengono dal mare
L’Oms, infatti, si agita senza decidere. Sbaglia gravemente perché in un Paese come l’Italia i rischi vengono dal mare. Chi sopravvive al viaggio sulle carrette del mare potrebbe essere già infettato (la comparsa dei sintomi è lunga a venire e, all’inizio, i segnali sembrano quelli della malaria), veicolando Ebola verso altri lidi. Medici senza frontiere avverte di aver raggiunto il limite della capacità di azione delle proprie équipe. Bart Janssens, direttore delle operazioni in area Ebola per Msf, torna ad avvertire: «Con la comparsa di nuovi focolai in Guinea, Sierra Leone e Liberia c’è il reale rischio che l’epidemia si diffonda in altre aree». Il problema è creare aree di isolamento efficaci dove trasferire contagiati da zone rurali difficilmente raggiungibili. Pazienti affetti da Ebola sono stati identificati in più di 60 località dei tre Paesi coinvolti e questo complica gli sforzi per trattare i pazienti e limitare l’epidemia. «Quando ho lasciato la Guinea un mese fa pensavamo di aver già raggiunto il picco. In realtà siamo arrivati a quasi 900 casi confermati e più di 500 vittime. La situazione non ha precedenti – dice Saverio Bellizzi, epidemiologo Msf, rientrato dalla Guinea -. In alcune zone del Paese siamo riusciti a contenere il contagio, ma in altre abbiamo ancora un tasso di mortalità dell’80%. Una cosa è sicura: l’epidemia andrà ancora avanti per alcuni mesi».
Una questione di salute pubblica
Con Ebola non si scherza e Msf lo sa. Il virus può uccidere fino al 90% di chi viene colpito. E da quando il virus di Ebola è stata identificato, e catalogato, è la prima volta che si diffonde in tre Stati africani. Con comunità locali, terrorizzate dalla malattia, che guardano i medici stranieri con sospetto. Quasi fossero loro gli “untori”, i diffusori di questa malattia davanti alla quale nemmeno gli sciamani possono vantare rimedi. Nel frattempo, per ignoranza sulla diffusione delle infezioni, gli abitanti locali continuano a partecipare a funerali dove non si attua alcuna misura di controllo. Che cosa fare subito? «L’Organizzazione mondiale della sanità, i Paesi colpiti e quelli confinanti dovrebbero dispiegare le risorse necessarie per un’epidemia di questa portata – dichiara Janssen -. In particolare, risorse devono essere messe a disposizione del personale medico qualificato, di attività formative, di campagne di sensibilizzazione della popolazione, di monitoraggio dei contatti con persone infette. L’Ebola non è più una questione di salute pubblica limitata alla Guinea: al momento sta interessando tutta l’Africa occidentale. E non sembra volersi limitare». Msf è in prima linea, ma al momento sembra proprio lasciata da sola.
14 luglio 2014 – Il Corriere della Sera