Nel tentativo di meglio collaborare nella lotta contro l’epidemia di Ebola, i Ventotto hanno deciso ieri di nominare un prossimo coordinatore europeo, sulla falsariga di quanto ha deciso qualche giorno fa il governo americano. Riuniti in Lussemburgo, i ministri degli Esteri hanno notato «l’aumento esponenziale» delle persone infette nei paesi africani più colpiti. Per ora, la richiesta inglese di raddoppiare gli sforzi economici per contrastare il virus è rimasta lettera morta.
I ministri degli Esteri «sono unanimi per dire che l’idea di un coordinatore europeo per la lotta contro Ebola è una buona idea», ha detto il capo della diplomazia francese Laurent Fabus. Dopo la decisione di ieri, i Ventotto dovranno tratteggiare le competenze della persona, per meglio selezionare il nuovo coordinatore. Finora il virus ha fatto oltre 4.500 vittime, con un tasso di mortalità del 70%. Una infermiera spagnola, ammalata nei giorni scorsi, sarebbe però guarita, secondo le autorità spagnole.
Il problema nella risposta europea è che in materia sanitaria la competenza rimane nazionale. Finora, i paesi sono andati in ordine pericolosamente sparso. La Gran Bretagna è stata rapida a introdurre controlli negli aeroporti di arrivo. Altri paesi hanno seguito, ma la maggioranza degli stati non ha optato per questa scelta. In un comunicato, i Ventotto riconoscono che è necessario un aumento degli sforzi europei che siano «uniti e coordinati».
Nel fine settimana, il premier inglese David Cameron ha chiesto un forte aumento del denaro messo a disposizione dai Ventotto per lottare contro Ebola. In una lettera al presidente del Consiglio Herman Van Rompuy, l’uomo politico ha chiesto un bilancio di un miliardo di euro, il doppio rispetto ai 500 milioni assicurati finora dall’Unione. Il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, ha spiegato che l’Italia ha messo a disposizione cinque milioni di euro, e promesso altri 50 milioni.
Il tema verrà ripreso dai capi di Stato e di governo quando si riuniranno giovedì e venerdì a Bruxelles. La malattia sta avendo un impatto economico in Africa Occidentale, e non solo. Secondo numerosi studi accademici, recenti epidemie, come quelle respiratorie SARS e H5N1 che colpirono l’Asia negli anni scorsi, hanno dimostrato che a pesare sulla congiuntura non è stata tanto la malattia in sé quanto le misure prese per evitarla (cancellazione di viaggi, chiusura di scuole ecc).
Sempre ieri, i ministri hanno deciso di ampliare le sanzioni contro la Siria, sempre in piena guerra civile, bloccando la vendita di carburante per aerei e aumentando il numero di esponenti del regime a cui vietare il viaggio in Europa. Sul fronte delle sanzioni relative alla crisi ucraina, la signora Mogherini ha detto che le sembra molto difficile «che da qui a meno di 15 giorni ci possano essere sul terreno novità talmente positive da consentire una revisione già al 31 ottobre delle misure che erano state prese». (Il Sole 24Ore)
Grasselli: Senza azione Ue-Usa il problema durerà a lungo
L’epidemia di Ebola “continua a crescere esponenzialmente in Liberia, Sierra Leone e Guinea” e i morti nei tre paesi dell’Africa occidentale “hanno superato i 4.500”: per questo l’Unione europea conferma la sua “profonda preoccupazione” e ha deciso di intensificare i suoi sforzi finanziari, di prevenzione e umanitari per contenere la diffusione del virus. Dopo oltre due ore di discussioni, il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Ue, riunito a Lussemburgo, ha deciso di istituire un coordinatore unico per far fronte alla crisi sanitaria africana e impedirne la diffusione e ha ricordato nelle conclusioni l’appello dell’Onu ai donatori internazionali per un finanziamento da 987,9 milioni di dollari. Il premier britannico, David Cameron, proporra’ ai leader Ue di arrivare a un miliardo di stanziamenti comunitari.
Finora, si ricorda nelle conclusioni, “l’Ue e i suoi Stati membri hanno gia’ stanziato oltre mezzo miliardo per fornire cure mediche urgenti ai malati, per aiutare a contenere l’epidemia e per sostenere i governi dei Paesi colpiti a mitigare gli effetti dell’epidemia nelle loro economie e servizi essenziali”.
“Se gli Stati del primo mondo non interverranno in Africa, probabilmente, questo problema ci perseguitera’ per parecchio tempo” ha affermato all’agenzia Dire Aldo Grasselli a margine dei lavori del 47esimo congresso SIVeMP che si è svolto a Firenze. “Bisogna anzitutto distinguere fra il primo e il terzo mondo. In Italia, cosi’ come in Europa e negli Stati Uniti la situazione e’ legata all’ipotesi di introduzione di questi virus attraverso contagi avvenuti nel terzo mondo. I focolai, la partenza di tutti i problemi sono in Africa. Quindi, non possiamo immaginare di risolvere il problema dell’Ue, degli Usa se non si fa un intervento radicale e assolutamente valido dal punto di vista dell’impatto nelle aree ad alta concentrazione dell’infezione”.
Se si vuole pensare di debellare la pandemia di Ebola nei Paesi del terzo mondo “bisogna intervenire sul piano delle strutture per il contenimento dell’infezione e per il trattamento delle persone colpite, cosa che in quei Paesi purtroppo e’ limitata a poche attivita’ di volontariato come Medecins Sans Frontieres o di altre ong. E qui vediamo come le organizzazioni governative abbiano latitato molto”. Venendo al contesto europeo e italiano, Grasselli ricorda quale potrebbe essere il potenziale pericolo di trasmissione del virus: “Non abbiamo serbatoi da cui si possono provocare dei contagi. I contagi ci possono essere da persone che vengono da zone infette che contagiano operatori sanitari o persone dell’ambito familiare. Per prevenire questo bisogna agire sui voli, sulle migrazioni che derivano e partono da quei Paesi e non tanto nel momento in cui arriva l’aereo sul nostro territorio, che’ e’ un momento in cui quantomeno abbiamo esposto ad un rischio tutti i passeggeri del medesimo volo”.
Per bloccare il contagio del virus Ebola nei Paesi del terzo mondo “dovremo intervenire li’ per iniziare un’opera di educazione sanitaria importante affinche’ le popolazioni africane abbandonino due comportamenti che sono, probabilmente, piu’ a rischio”. In primo luogo, nel mirino di Grasselli c’e’ “il consumo di pipistrelli. L’alimentazione tramite pipistrelli ha un pregio dal punto di vista gastronomico che noi non comprendiamo ma che in quei Paesi e’ molto apprezzato, e ha anche il vantaggio di essere una fonte di reddito senza grande impegno strutturale per coloro che vanno a caccia nelle grotte, dove questi animali vengono catturati con una semplice rete”.
L’obiettivo “prima di tutto e’ impedire che ci sia questa entrata del virus nel circuito umano, perche’ il serbatoio del virus e’ quasi interamente all’interno della popolazione di pipistrelli”. La seconda abitudine a rischio da correggere nei Paesi del terzo mondo e’ il contatto con i pazienti colpiti dall’infezione. “C’e’ il problema di cambiare i comportamenti delle famiglie di fronte ad un decesso e, quindi, la manipolazione del cadavere senza tutta una serie di precauzioni di carattere anti-infettivo contro la trasmissione del virus”.
Con la consapevolezza di dover superare un muro di diffidenza da parte delle popolazioni. I consigli sulle buone pratiche nel caso in cui si abbia a che fare con un malato di Ebola in Africa, “indubbiamente sono di difficile comprensione se non ci sono valide motivazioni sanitarie, che devono essere spiegate. Su questo bisogna fare un’opera di convincimento”. (Fonte: Agenzia Agi/Agenzia Dire)
21 ottobre 2014