L’annuncio dell’ospedale di Lipsia. Il medico di 56 anni proveniva dalla Liberia. Era arrivato giovedì in Germania a bordo di un aereo attrezzato. Sulla malattia da virus Ebola oggi il presidente Simevep Aldo Grasselli alle 16.30 sarà intervistato dal Tgcom24 di Mediaset.
È deceduto nell’ospedale di Lipsia in Germania il dipendente Onu 56enne proveniente dalla Liberia che era stato ricoverato giovedì dopo aver contratto il virus di Ebola.La vittima, Mohammed A. era un medico sudanese che lavorava per l’Onu in Liberia, il Paese dell’Africa Occidentale più colpito da virus. A dare la notizia del decesso lo stesso ospedale di Lipsia, il St George, dove era ricoverato. L’uomo era arrivato in Germania giovedì a bordo di un aereo attrezzato.
Pare già inarrestabile, l’epidemia di paura che ha colpito l’Italia prima che il virus sia riuscito a varcarne le frontiere. Due africani si sono sentiti male, ieri a Roma e Milano, facendo subito scattare le misure di sicurezza e qualche polemica: nessuno dei due infatti aveva messo piede recentemente in Africa occidentale, dove avrebbe potuto contrarre il virus, ma i sintomi hanno acceso l’allarme. Allo sportello profughi della questura di Roma un somalo con «convulsioni, febbre alta e sangue dal naso si è accasciato al suolo», e l’area è stata subito isolata: trasportato con cautele all’Umberto I, la diagnosi è stata di attacco epilettico. Nel tribunale di Milano, invece, un imputato ghanese accusato di furto di rame si è sentito male durante il processo, sputando sangue tra le convulsioni: il giudice ha disposto il ricovero al Sacco, ma anche qui è stato escluso Ebola e si sospettano altre patologie.
La guardia, comunque, è giustamente alta: Margaret Chan, direttrice generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), è «ben consapevole che la paura di essere infettati si è diffusa nel mondo molto più velocemente del virus», ma l’epidemia di Ebola resta «l’emergenza sanitaria più grave e seria nei tempi moderni». Con quattromila morti, ultimo bilancio ufficiale dell’Oms diramato venerdì, sta devastando Liberia, Sierra Leone e Guinea e costringe il resto del mondo a elevare le difese sanitarie. Ieri un uomo con i sintomi rientrato da poco dalla Guinea è stato ricoverato in isolamento al St.Pierre di Bruxelles, in Belgio. A Dallas l’elenco delle persone «sotto stretto controllo» dopo la morte del “paziente zero” Thomas Eric Duncan si è allungato, e il direttore dei Centers for disease control and prevention di Atlanta, Thomas Frieden, suggerisce di «ripensare» il sistema di «controllo dell’infezione» perché «anche un solo contagio è inaccettabile ». Come ha potuto, il virus, sconfiggere il protocollo di sicurezza infettando l’infermiera 26enne Nina Pham, che oggi combatte in «condizioni stabili»? Il presidente Obama — che al telefono con François Hollande ha convenuto sulla «necessità di una mobilitazione internazionale in stretto coordinamento con Onu, Oms e Paesi coinvolti» — ha convocato un vertice nello studio Ovale per chiedere spiegazioni. Nuove infezioni tra il personale medico che si è occupato di Duncan «sono possibili e non mi sorprenderebbero», dice Frieden annunciando una revisione generale del protocollo per gli addetti ai lavori: lo si sta «ripensando sostanzialmente», spiega. Giovedì, intanto, il vertice europeo deciderà se stabilire procedure di sicurezza comuni per gli aeroporti: diversi Paesi pensano di controllare la temperatura ai passeggeri in arrivo dall’Africa occidentale, ma per il presidente della Società italiana di igiene (Siti) Carlo Signorelli «è un metodo facilmente eludibile» e «molto costoso».
Quanto ai casi già confermati in Occidente, nessuno di coloro che potrebbero avere avuto contatti coi malati in Spagna o negli Usa mostra i sintomi di Ebola. Ma occorre cautela: secondo il Centro europeo per il controllo delle malattie, serbatoi di Ebola «sono stati evidenziati nel latte materno e nello sperma dopo la scomparsa del virus dal sangue».
Repubblica – 14 ottobre 2014