Pensioni sì, pensioni no, pensioni forse… ma flessibili. Grande è la confusione sotto il cielo di Palazzo Chigi in tema previdenziale. Mentre il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, archivia la pratica per tempi (forse politicamente) migliori, c’è chi, come il ministro del Welfare Giuliano Poletti, ne continua a parlare come se il cantiere della riforma dovesse aprirsi domani mattina.
E l’unica flessibilità accertata è quella delle dichiarazioni di segno e significato opposto. Peccato, infatti, che ad ogni uscita di Poletti corrisponda una smentita leggiadra di Palazzo Chigi. L’ultima ieri: «Nel 2018 con l’ultima legge di Stabilità ci sarà un intervento sulle pensioni», ha scandito il sottosegretario della Presidenza del Consiglio Luca Lotti, a margine della festa nazionale dell’Avanti, rispondendo a chi gli chiedeva se ci sarà o meno (dopo le smentite di Renzi in studio a Parta a Porta), un intervento sulle pensioni. Lotti, che di Renzi è il braccio destro per gli “affari delicati”, passa oltre e si limita a propagandare il verbo: nelle prossime 3 finanziarie ci sarà un taglio di circa 50 miliardi di tasse. Senza però spiegare dove e come si troveranno i quattrini visto che la fantomatica spending review è rimasto un esercizio teorico per qualche professorone insonne.
Poletti – sempre dalla festa de L’Avanti ma la sera prima, giovedì – si era lanciato in un attacco inedito alla sua predecessora, Elsa Fornero : «E’ una legge fatta male con uno scalino che blocca il turn over. Molti dati ci dicono che non c’è turn over secco e automatico, ma è ovvio che un turn over bloccato diminusce le opportunità per i giovani. Bisogna lavorare per arrivare a un cambiamento». E ancora: «L’invecchiamento attivo è un problema da affrontare. La flessibilità è un argomento da affrontare dentro una logica generale. Noi abbiamo aziende che legittimamente hanno bisogno di questo cambiamento». Il dilemma è proprio questo: Renzi vorrebbe rinviare qualsiasi intervento sulle pensioni perché aprire il cantieri previdenziale non è mai premiante in termini elettorali. E poi la riforma Fornero sarà pure fatta male e scritta peggio, però garantisce circa 90 miliardi di risparmi, una forma di garanzia per l’Europa sulla tenuta dei nostri conti pubblici. Metterci mano non potrebbe essere mai a saldo zero: i lavoratori dovrebbero rinunciare a “qualcosa” per anticipare dai 68 anni. Ma questo “qualcosa” – come dimostra uno studio pubblicato giusto ieri dagli economisti de lavoce.info – potrebbe essere molto salato (invece dell1/2% di riduzione dell’assegno per anno di anticipo anche il 4/6% in meno). Una decurtazione del 30% della pensione non è ovviamente sostenibile e quindi l’ipotesi a costo zero naufragherebbe prima ancora del varo.
Annunciare a fine 2015 che nel 2018 si farà una riforma delle pensioni è come ipotizzare lo sbarco su Marte. Bello, suggestivo ma non fattibile. Di più: i flussi di prepensionamento sono molto sensibili agli annunci. Dal 1995 ad oggi (riforma Dini) è stato solo un peggioramento. Chi può scappa via prima, erodendo così il tesoretto dei risparmi Fornero.
Libero – 13 settembre 2015