Su questo giornale il direttore di Federsanità Anci auspicava che sulle targhe dei reparti, vicino al nominativo di ogni medico, fossero indicate le sue performance. Idea suggestiva. Ma certamente non facile da realizzare. A partire dal fatto che oggi si lavora in équipe
Gli auspici espressi dal Direttore Generale di Federsanità ANCI, EnzoChilelli (Q.S. del 7 settembre) di vedere “un giorno sulle targhe dei reparti, al fianco del nominativo di ogni medico la valutazione di esito, il numero di prestazioni erogate ed il costo del reparto”, spingono ad alcune riflessioni.
Il primo elemento da prendere in considerazione è la presenza nelle Unità Operative di targhe recanti il nominativo dei singoli medici. Perché forse non è così facile trovare strutture dotate di una cartellonistica indicatoria così precisa ed aggiornata da riportare il nominativo di tutti i dirigenti che operano nel reparto.
Chi lavora negli ospedali, infatti, assiste quotidianamente alla sfilata di utenti che si aggirano disorientati a caccia di un’informazione che li metta sul percorso per arrivare a trovare il reparto, il servizio, il congiunto, il medico o l’infermiere. Ed inoltre si deve aggiungere la non infrequente movimentazione cui sono sottoposti reparti e strutture per accorpamenti, riorganizzazione, ecc. con la conseguente difficoltà per tutta la logistica interna.
Ma la considerazione più delicata deve essere rivolta alle prestazioni da riportare sulla targa. Prestazioni erogate ed esiti conseguiti.
Il pensiero va subito alle procedure chirurgiche in cui si presume vi sia stata una chiara diagnosi, sia stato programmato un intervento, si sia svolto un regolare decorso postoperatorio e da ultimo sia stata attuata la dimissione.
La targa indicherà che il Dottor X ha eseguito un numero Y di interventi con esito favorevole. Ma in questo percorso così semplice da enunciare si vengono, tuttavia, ad innestare una serie di variabili che forse complicano e non poco la semplicità di queste affermazioni.
Anzitutto cosa si intende per esito di intervento. La letteratura non è chiara a riguardo. Può essere l’indice di mortalità, o che il paziente è stato dimesso guarito, o che le sue condizioni sono buone, o semplicemente migliorate. Ma quale indicatore “pesa” questo miglioramento? Oppure per esito favorevole può intendersi l’indice di morbilità, l’assenza di complicanze post-operatorie. Ma quali complicanze? Quelle strettamente legate all’intervento chirurgico come la suppurazione della ferita, la comparsa di un ascesso, la deiscenza della sutura? Oppure anche la broncopolmonite postoperatoria, l’infezione delle vie urinarie, l’embolia, lo scompenso, l’infarto? E le complicanze correlate all’assistenza? Cosa dovrebbe essere riportato sulla targa?
E ancora, il controllo o la validazione di queste informazioni a chi è affidato? E la percezione dell’utente assistito? Ma c’è di più. È ormai irrinunciabile il rispetto dell’appropriatezza in termini organizzativi, ossia il ricorso alla giusta modalità di accesso (day surgery, ambulatoriale, ricovero ordinario) che fa sì che ogni intervento abbia il suo giusto percorso nel rispetto della qualità della prestazione. Come pure l’appropriatezza in termini clinici, vale a dire la corretta indicazione ed il giusto intervento per quel tipo di patologia secondo i concetti di evidence based. Sono informazioni di cui dare conto. Ma in che modo esplicitare?
Dopo queste considerazioni scrivere che il tale Chirurgo ha eseguito nell’arco di un periodo di tempo un certo numero di interventi tutti con esito favorevole, o quasi, che riferimento reale può avere?
Ma siccome è comunque doveroso mettere a disposizione queste informazioni allora si dovrà provvedere ad una maggiore specificazione.
Ad esempio il tipo di intervento, da correlare di necessità ad una diagnosi, in modo da rendere note la gravità e la complessità della situazione clinica affrontata: la patologia oncologica può essere spesso più complessa rispetto ad altre patologie. Ma ulteriormente va riportata l’eventuale urgenza, perché un intervento urgente è spesso tecnicamente più impegnativo, con maggiori rischi chirurgici e gravato da un maggior indice di complicanze.
C’è però un’ulteriore precisazione che riguarda le condizioni generali dei pazienti. Perché sottoporre ad intervento pazienti affetti da pluri-patologie o co-patologie complesse comporta rischi aggiuntivi, come anche operare pazienti anziani.
E che dire della struttura ospedaliera, delle risorse aziendali, della strumentazione, della organizzazione aziendale che differenziano (e non poco) una struttura da un’altra? Sono ben noti i riflessi in termini clinici, di morbilità e mortalità.
L’intervento chirurgico è, infatti, l’ultimo anello di una catena strutturale-organizzativa-tecnologica che mette a disposizione le risorse per l’esecuzione dell’intervento, di cui è responsabile il chirurgo esecutore assieme all’èquipe medico-infermieristica di sala operatoria e di reparto.
E’ ipotizzabile allora di trovarci di fronte ad una targa di reparto che contenga in modo trasparente tutte le indicazioni riportate?
Immaginiamo di leggere un elenco di chirurghi che ha eseguito interventi in numero diverso. Quali conclusioni? E’ più esperto chi ne ha fatti di più? O è solo una questione di età? E, a questo punto, un giovane chirurgo? E l’assistenza non ha rilevanza rispetto all’esito da riportare? E soprattutto non è necessaria una validazione dei dati pubblicati?
Una targa poco completa rischia di essere fuorviante, ma soprattutto poco aderente alla realtà.
- la pena di rammentare cosa sancisce la legge. Le èquipe sanitarie ospedaliere sono multi-professionali e sono “affidate alla responsabilità di un Direttore di Struttura che, oltre alle specifiche competenze professionali, esercita funzioni di direzione e organizzazione da attuarsi anche mediante direttive a tutto il personale nonché mediante l’adozione delle relative decisioni per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l’appropriatezza degli interventi” (DL 502/92 e 229/99).
Ciò avviene normalmente nella prassi quotidiana con la scelta di affidare determinate tipologie di intervento, i cosiddetti “privilegi” (non ancora introdotti in Italia se non in modo sperimentale) del modello anglosassone, ai professionisti più idonei. E per i Colleghi che non hanno ancora conseguito il “privilegio”, per i quali sono previsti “ambiti di esercizio progressivamente ampliati attraverso obiettivi momenti di valutazione e verifica” (art. 15 –D.Lgs 229/99), ambiti di esercizio peraltro supportati dal Collega più esperto, cosa si dovrà riportare?
Un’ulteriore considerazione va rivolta ai “costi” del reparto. È noto che il Dirigente Medico in qualità di prescrittore ha una grossa leva nelle sue mani riguardante i costi. Sono tuttavia costi diretti, inerenti la gestione clinica: esami, procedure diagnostiche, terapeutiche, farmaci, ecc. Che tuttavia rappresentano solo una parte dei costi attribuiti al reparto, assai diversi in relazione alla specialità. I costi delle protesi ortopediche sono elevati, come pure quelli delle suturatrici meccaniche, mentre inferiori sono i costi dei fili di sutura. Gli interventi in laparoscopia costano di più rispetto alla chirurgia open. E i costi riportati in modo trasparente ma privi di queste spiegazioni tecniche quale significato possono rivestire?
Ma i costi comprendono anche la parte alberghiera, il personale, le convenzioni, i trasporti, ecc., su cui la possibilità di incidere da parte del medico è davvero poco o nulla. E la targa di reparto dovrà indicarli? Ed i costi, oggi, senza standard di riferimento sono estremamente diversificati. Ma forse anche domani, vista la proposta del 21 dicembre 2012 che non prevede nulla rispetto alle dotazioni di personale medico e di assistenza che, come è noto, rappresenta il maggior capitolo di spesa.
E per quanto riguarda le prestazioni non chirurgiche? Cosa dovrà essere riportato? Il numero di broncopolmoniti curate? Il numero di scompensi cardiaci? Il numero di infarti del miocardio? E gli esiti?
È dunque più che auspicabile rendere trasparente ogni notizia riguardante l’esperienza del dirigente medico, ma è altrettanto importante indicare i requisiti dell’èquipe medica ed infermieristica nel suo complesso, le esperienze conseguite, le caratteristiche della struttura compreso attrezzature e tecnologia disponibili, in modo da fornire un quadro completo delle attività del reparto. L’insostituibile relazione Paziente-Medico deve trovare una giusta collocazione nell’ambito della relazione Paziente-Struttura.
È una nuova cultura che si deve diffondere tra gli addetti ai lavori, ma anche tra gli utenti al fine di una corretta interpretazione delle attività svolte. La recente indagine fatta da Cittadinanzattiva e ACOI sottolinea quanto sia tuttora carente, ma fondamentale, la comunicazione tra sanitari ed utenza assistita.
In conclusione, la trasparenza delle attività di reparto dovrà essere perseguita non solo attraverso il tradizionale colloquio, ma anche con i sistemi di comunicazione che permettono una più precisa ed esauriente informazione, quali siti web o, perché no, con i classici pieghevoli cartacei facilmente accessibili a quanti non abbiano sufficiente dimestichezza con i supporti informatici, dove i dati riportati possono trovare uno spazio più ampio. A condizione però – è bene sottolinearlo – di una preordinata omogeneità di presentazione delle informazioni, per esempio attraverso “forms” condivisi con le società scientifiche o le associazioni professionali in modo da assicurare un corretto benchmarking.
Da ultimo, tuttavia, non dimentichiamoci che il nostro Servizio Sanitario, nonostante tutto, continua ad essere tra i migliori del mondo.
Fabio Florianello – Direttore Struttura Complessa di Chirurgia Generale – Segr. Amm. Anaao Reg. Lombardia
26 settembre 2013 – Quotidiano sanità