Queste sono le intenzioni di Zaia, che ha scelto Grosso – nato a Meolo nel 1949 ma residente a Treviso – in quanto rappresentante della cerchia di tecnici di cui il governatore si fida.
Grosso è stato nel cda di LaMarca, società di trasporto della Provincia di Treviso, quando nel 2005 alla presidenza sedeva il fidatissimo Tiziano Baggio, poi spostato da Zaia alla guida dell’Unire. Grosso è fondatore dello studio associato Consimp di Treviso. Laureato in Economia alla Bocconi (110 e lode con medaglia d’oro), ha lavorato per Cigahotels, Arthur Andersen & Co, è stato direttore amministrativo di Sit La Precisa e di Ligabue Catering di Venezia, revisore contabile dell’Ire e consulente dei trevigiani consorzio Priula, TV3 e Contarina. Attualmente ricopre cariche in circa venti società.
Un bocconiano di Treviso, fiduciario di Luca Zaia, alla presidenza di Veneto Sviluppo: è Giorgio Grosso, commercialista e consulente finanziario, il professionista «di alto profilo» che il governatore ha estratto da cilindro per restituire efficienza alla “cassaforte” della Regione, sorta per agevolare il credito d’impresa ma progressivamente vincolata alle rigidità imposte dalle banche socie. Tant’è. Dopo mesi di ritardi e schermaglie, scanditi dal monito spazientito di Bankitalia, l’assemblea veneta ha rinnovato il consiglio d’amministrazione, nominando i 7 componenti di spettanza politica: oltre a Grosso (avviato alla poltrona più alta, la Lega ha confermato il veronese Marco Vanoni, presidente uscente vicino a Flavio Tosi, completando la sua quota con Paolo Agostinelli commercialista di San Bonifacio, già amministratore delegato e direttore finanziario: ha lo studio a Istrana ed è buon amico del capogruppo Federico Caner. La sua nomina ha provocato la ribellione nell’ala bossiana del Carroccio e in particolare nella federazione padovana che aveva indicato il direttore dell’ente Turismo Flavio Manzolini: quest’ultimo, il cui curriculum è stato giudicato insufficiente da Zaia, ha comunque collezionato una decina di voti, sia dai leghisti delusi che da un pugno di consiglieri di opposizione. Uno scambio di favori sottobanco rimasto però senza esito. Sul fronte Pdl i prescelti sono l’avvocato vicentino Andrea Antonelli e l’ingegnere progettista Bruno Zanolla, bellunese di Quero. Il voto, espresso in forma segreta, ha confermato le divisioni dei padani – Vanoni, ad esempio, ha incassato appena 15 preferenze, tutte tosiane – ma anche la presenza di franchi tiratori pidiellini che (a differenza dei leghisti) non hanno riversato i consensi sugli alleati. Sul fronte dell’opposizione il Pd ha piazzato il dirigente d’azienda di Vicenza Giovanni Cattelan e l’amministratore rodigino di multiutility Nerino Chiereghin; scelta fortemente contestata dagli altri gruppi di minoranza, lesti a bollarlo come atto di «prepotenza e volontà egemonica»; i democratici, coscienti dell’errore, sono corsi ai ripari offrendo la cessione di una poltrona, ma l’intesa non è stata raggiunta. A completare l’organigramma, il collegio sindacale della spa: sarà composto dai padovani Gianfranco Grigolon (Lega) e Giorgio Morelli (Pdl), con l’azzurro Luciano Zerbaro in veste di supplente. La fumata bianca è stata preceduta dallo stanco rituale del Palazzo: riunioni, conciliaboli, spartizioni tra partiti e correnti, promesse e minacce trasversali. In sede di dibattito l’aula, su iniziativa del capogruppo pidiellino Dario Bond che ha chiesto e ottenuto la collaborazione “tecnica” del consigliere Giuseppe Bortolussi, ha approvato un documento d’intenti che impegna il futuro cda a privilegiare fortemente la politica di credito alle piccole imprese e, soprattutto, delinea la creazione di una “venture capital” una società di rischio partecipata dalla Regione che sostenga le pmi non più soltanto mediante il credito diretto ma anche attraverso le garanzie sul prestito, modalità che consentirebbe di aumentare fortemente la leva finanziaria a disposizione. Bocciata invece la proposta di ridurre i consiglieri a 3 (IdV) e 5 (Pd): «Altro che tagliare i costi della politica, a guidarvi è una logica di occupazione militare del potere», ha accusato il dipietrista Antonino Pipitone rivolgendosi ai banchi leghisti. «È’ un’affermazione falsa», ha ribattuto laconico l’assessore al bilancio, Roberto Ciambetti.