L’indennità di anzianità maturata fino al 31 maggio 1982 e il trattamento di fine rapporto per i periodi successivi devono rispecchiare il trattamento economico corrisposto durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
I versamenti del datore di lavoro accantonati a previdenza complementare non si computano, quindi, per determinare il Tfr e l’indennità, poiché i versamenti non hanno natura retributiva e non sono stati assoggettati a contribuzione previdenziale utile ai fini pensionistici. Infatti le somme corrisposte ai fondi pensione non possono essere definite emolumenti retributivi con funzione previdenziale ma sono strutturalmente contributi di natura previdenziale. Inoltre i versamenti non concorrono neppure a formare il reddito da lavoro dipendente, non entrando mai nella disponibilità degli interessati durante la vita lavorativa.
I versamenti al fondo di previdenza complementare fanno sì che i destinatari maturino un’aspettativa a riscuotere un trattamento pensionistico integrativo che si concretizzerà al verificarsi di determinati requisiti e condizioni e sono preordinati a garantire il trattamento integrativo in caso di cessazione del rapporto di lavoro, o in caso di invalidità sopravvenuta, secondo le condizioni previste dai relativi statuti dei fondi pensione.
Il datore di lavoro, sia pubblico sia privato, inoltre, versa un contributo di solidarietà pari al 10% delle somme destinate al fondo pensione (Dl 103/1991) ma tale ulteriore contribuzione non entrerà mai nella base pensionabile né tantomeno retributiva del lavoratore. Lo ha precisato la Corte di cassazione con due sentenze depositate ieri (16593 e 16587).
Il Sole 24 Ore – 4 luglio 2013